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martedì 31 luglio 2018

ÌL VIAGGIATORE



ÌL VIAGGIATORE

Pensandoci bene, era sempre più convinto che fosse stato così… da quando in un tempo remoto, in un'altra galassia, in un'altra dimensione, aveva letto quella frase.
Che forse era un titolo.
Che l'aveva colpito: "STRANIERO IN OGNI LUOGO" .
Aveva  capito che, chi aveva scritto quella frase, stava pensando a lui.
Il suo destino ormai era segnato e ne era contento. Ci si era abituato piacevolmente. Poco socievole. Schivo. Ritirato, parlava e si apriva magari anche con gli sconosciuti , ed evitava i luoghi abituali, della stessa gente e degli stessi discorsi.
E  così aveva cominciato a navigare. Navigare nel tempo. Nello spazio. Nell'acqua. Nella mente. Nella vita… Era  diventato il navigatore solitario. Un uomo senza frontiere, senza terraferma. Una specie di Ulisse. Ma non trovava mai e non sapeva dove fosse la sua Itaca, la sua Penelope.
Cercava . Ogni  volta incontrava una figura che gli faceva venire in mente Penelope, la regina di Itaca e poi si accorgeva di essersi sbagliato… si accorgeva che aveva preso male le distanze e le misure.
Aveva  navigato sui monti. Era stato addirittura professore, di tutto ... Geografia astronomica, economia domestica, latino… Gli avevano chiesto addirittura di insegnare le lingue… Ma lui non le sapeva; tranne qualcuna. La sua.
Aveva  imparato a sciare da solo, senza chiedere consiglio a nessuno e anche quello era stato un modo di viaggiare, di andare. Il tempo del viaggio sugli sci e sulla neve era infinito e anche brevissimo. Piccole soste. Piccole cadute. La sua sagoma si stagliava nella neve fresca e chi passava dopo rideva pensando a quell'uomo strano…
Fatto sta che l'abitudine a viaggiare, a cercare sempre terre sconosciute e nuove era rimasta e gli si era appiccicata al DNA, a posteriori.
E  così viaggiando viaggiando aveva incontrato bambine, ragazze, dame .
L'ultima  aveva gli occhi di cielo. Uno sguardo che teneva celato per evitare di incantare tutto l'universo…
Entrambi  si erano sovvenuti, a quel punto, che certo si erano già incontrati in un altro tempo, in un'altra dimensione. Si avvicinarono  titubanti, fiutandosi da vicino e da lontano e, gradualmente, avevano imparato a parlare un linguaggio comune.
Lui  celiando diceva che parlava olandese, norvegese ma non parlava nessuna lingua… Tranne la sua. E l'uso che lui sapera fare della sua lingua piaceva molto alla sua giovane principessa dagli occhi cerulei.
Le regalava parole, pensieri, immagini e soprattutto le regalava il sorriso, il riso e a volte addirittura l'entusiasmo e l'allegria.
Chi raccontava questa storia, narrava di averla trovata in una bottiglia su una spiaggia . Aveva  pensato a un naufrago di qualche mondo lontano e sconosciuto.
Aveva tradotto da quell'idioma, linguisticamente perfetto e insieme contorto e malato. Folle, delirante e bruciante e l'aveva messo sulla carta.
E mentre lui andava ancora di nuovo per i suoi viaggi, drizzando le vele , e tenendo la barra del timone sempre in direzione giusta, muoveva la randa… e a volte innalzava anche il fiocco e il controfiocco.
I delfini e i cetacei si buttavano fuori a guardarlo. E le balene e i capodogli emettevano i loro spruzzi gioiosi con fischi di gioia e di allegria.
E certo doveva essere stato proprio così, forse alla fine gli ultimi tratti del viaggio Ii aveva percorsi su una zattera.
In  compagnia di un’anfora di terra, che trasudava al sole e al vento. L’acqua diventava sempre più fresca per le sue labbra e per la sua arsura .
Aveva visto da lontano le sagome scure e immense dei gommoni, neri e sgonfi. E i lugubri barconi di legno. Dei disperati, con gli occhi sbarrati e le braccia levate al cielo, imploranti qualche dio o qualche divinità tribale.
Non li aveva mai direttamente avvicinati o incontrati.
Solo più tardi nel tempo ne aveva saputo il racconto. Ma ormai non c'era più modo di fare qualcosa. Decine di migliaia ormai erano scomparsi tra i flutti con i loro sguardi di disperazione e di morte.
Aveva vergato con inchiostro di china le vecchie pergamene. Dopo averle raschiate. E raccontata la storia. E accennava nello scritto  anche, oltre ai fischi e agli zufoli dei cetacei , alle urla disperate, che chiedevano soccorso. Dai gommoni neri, quasi sgonfi prima che affondassero disperatamente.
Chi ha raccolto questa storia leggendo la lettera e scrivendo, ha avuto per un po' il cuore in subbuglio. Però il tempo di oggi non permette questo. E allora il lettore e trascrittore della storia della bottiglia del naufrago, l'aveva fatta diventare un poema in versi. Da leggere e recitare in qualche posto importante. Come la piazza del Duomo di Milano ad esempio. In un giorno speciale simbolico. Girando in cerchio in tanti con le magliette rosse col nome di qualche sventurato. E, scrivendola e ricopiandola, aveva sparse infinite lacrime. Ma questa è un'altra storia, quella del nostro tempo.
La sua meta come la meta di tutti i viaggi, era stata, ed è ancora il viaggiare stesso.
Forse ha ricominciato a viaggiare per mare, per terre, per cieli.
Incontrando sguardi.
Lacrime.
Sofferenze.
E solo qualche volta, eccezionalmente, sorrisi e urla di gioia.

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