Uffa!
Di nuovo ancora! Come tutte le sere!
Capitava
sempre quel fenomeno strano che la disturbava, la intristiva, le faceva mutare
umore…
Ad un
certo punto il colore azzurro intenso del cielo diventava grigio. Il sole,
quando non era nascosto dietro le nuvole, perdeva il suo splendore d'oro. Le
foglie degli alberi perdevano il colore vivo e cominciavano ad ingrigirsi.
Perdevano quella tonalità smaltata e brillante. Per non parlare poi dei fiori!
I gigli bianchi maculati sembravano fatti di carta. Le ortensie seguivano la stessa
sorte del cielo, da azzurre con tendenza al violetto, anche loro appassivano di
tonalità… Si guardava le mani, il tavolo, i tendaggi… Tutto perdeva vivacità di
colori…
Uffa!
Uffa e ancora uffa! Diceva tra sé la ragazza.
Eppure
si ricordava che un rimedio l'aveva imparato. Anche se ora non se lo ricordava
più.
Era
stato molto tempo prima. Alcuni anni. Quattro forse. Quando aveva incontrato
quel personaggio fantastico buffo e assurdo. L'aveva sempre chiamato il
principe fuori dal tempo. Era alto, slanciato, ma come spesso le persone molto
alte aveva movimenti dinoccolati e a volte stava un po' curvo.
A dir
la verità era insieme giovanissimo e anche molto antico. Per questo per lei era
fuori dal tempo.
In
alcuni momenti rideva come un bambino… Cantava come un ragazzo… Faceva cose
buffe come un adolescente… Discorsi saggi e pieni di sapienza, e le sapeva
alternare combattute molto buffe e umoristiche. Per lei era come se lui sapesse
tutto. Ogni volta che toccavano un argomento nuovo, lui ne parlava a lungo,
distesamente, in modo argomentato. Lei rimaneva stupita. Dicendo che lei non
sapeva tante cose così. E lui per consolarla le diceva che quelle cose forse
magari non le sapeva neanche, se l'era inventate per farla contenta, per
stupirla, per affascinarla… Ma lei sapeva apprezzare la sua sapienza. Non
l'aveva quasi mai visto adombrato o arrabbiato. Tranne qualche rarissima volta.
Lei si era subito giustificata riconoscendo che davvero era stato un po'
scioccherella, lunatica, birichina, e aveva commesso qualche marachella. Ogni
volta lui aveva mostrato fermezza, determinazione, severità… Ma ogni volta
l'aveva perdonata… Dicendole che vedeva in lei la bambina che aveva dentro
sempre, anche ora che era diventata grandicella… Le carezzava le gote e i
capelli. Restava ad ammirare la luce intensa fosforescente del suo sguardo. E le
diceva parole dolcissime e tenere. E le prodigava coccole che la facevano
tremare tutta.
Era
stato lui, certo, quattro anni prima o giù di lì… Aveva messo una mano nella
saccoccia. E da quella aveva tirato fuori il pugno chiuso… E appena aveva
aperto le dita un minuscolo uccellino si era messo a volare col volo fermo… Era
proprio un colibrì!
Un
colibrì magico, naturalmente. Il colibrì era rimasto sospeso nell'aria facendo
un leggerissimo pigolio. Dal quale lei aveva imparato a decifrare delle parole
morbide, flautate, con un linguaggio straordinario…
Le
sembrava di ricordare che le avesse suggerito di guardare ai piedi del roseto.
Li avrebbe trovato una scatolina di latta color argento e oro. Aprendola
avrebbe visto e scoperto un anellino. Come gli anellini giocattoli che si
trovano avvolti nella carta oleata dentro alle sorprese dell'uovo di Pasqua.
Doveva
metterlo al dito. Girarlo sopra e sotto diverse volte. E pronunciare la formula
magica…
Ma
uffa, uffa, e stra-uffa!!!
Non
ricordava più due cose. Dove avesse riposto quell'anellino magico che serviva
per la resurrezione dello spirito e dell'allegria. E quale fosse la formula
magica!
La
ragazza ripose il fuso con il quale aveva filato la lana. Il pesante ferro da
stiro a brace ormai raffreddato con il quale stirava tutto il giorno ogni cosa
che trovasse in giro.
E si
era avvicinata al camino. Aveva soffiato sul fuoco risvegliando le braci sotto
la cenere. Ponendovi delle ramaglie secche. Fino a quando le fiamme avevano
ripreso a crepitare. Dal gancio nero di fumo e di fuliggine pendeva la pentola
per fare la minestra.
Riempitala
degli ingredienti giusti, si era messa a mescolare con un mestolo di legno.
Stirare,
rassettare, cucinare le minestre… Un tempo a fare solo quello borbottava
continuamente tra sé e sé il suo abituale: uffa, uffa… Uffa!
Ma da
quando era venuto il magico principe al di là del tempo, con il suo colibrì
sospeso a mezz'aria che sussurrava a mezza voce come uno strumento musicale,
limitava quel borbottio soltanto ai momenti meno gradevoli… Ora ad esempio da
tempo lo faceva quando verso sera i colori scomparivano. E con essi l'allegria.
L'entusiasmo. La speranza. Stava rimestando nella pentola di rame la buona
minestra profumata, quando le venne un lampo nella mente!
Ma
si! Ma certo! Di sicuro…!
Si
allontanò dal camino. Si avvicinò al canterano. E proprio in basso, in quel
cassettino che non apriva mai… Evviva… Evvivissima… Superevviva…! La scatolina
di latta un po' arrugginita colore argento e oro era lì. Sollevò il coperchio.
E anche l'anellino pasquale era al suo posto. Sembrava aspettarla.
Tremante
e titubante se lo infilò subito al dito. Lo fece girare come ricordava diverse
volte sopra e sotto… E incantesimo degli incantesimi… Sentii come un piccolo
zufolo il cinguettio garbato che le stava volando sopra il capo.
«Prova
a ricordare, Nini, non è difficile, certo ci riesci… La filastrocca formula
magica per fare l'incantesimo… Ne sono sicuro…» Zufolava morbido l'uccellino con
il suo fruscio d'ali rapido come quello di un calabrone…
Si
fregò le mani sul grembiule per nettarle. Poi si mise le mani sul volto. Ve lo
tenne qualche istante pensieroso. Poi le mani salirono sul capo. Sui capelli
biondi con la treccia a crocchia intorno alla sua nuca.
«Ma
si… Evviva… EVVIVISSIMA… Super evvivissima…»
Nel
capo, nella mente e nel pensiero, frullando allo stesso ritmo del minuscolo
volatile, la filastrocca un po' alla volta veniva fuori… Una parola dopo
l'altra…
«ACCIDERBOLINA
SI, LA MAGIA LA FACCIO QUI…
PERDIRINDINDINA
DINDA, FACCIO QUI LA MERAVIGLIA
MERAVIGLIA
FANTASIOSA DI MAGIA CH’È STREPITOSA
I
COLORI L'ALLEGRIA LA SPERANZA È TUTTA MIA…»
Appena
l'ebbe pronunciata a mezza voce, la ripeté ancora e ancora e ancora e ancora… E
intanto faceva ruotare l'anellino fatato sul suo ditino…
Lentamente
ma anche in un batter d'occhio tutti gli oggetti ripresero il loro colore. La
sera vestì il cielo di velluto oltremare. La luna si fermò a guardare in giù
con il suo sguardo luminoso. La fiamma del camino danzava sotto la pentola di
rame con il suo colore porpora, arancio e giallo sole…
E fu
in quel momento che si spalancò la porta massiccia di legno antico. E si
affacciò il volto che temeva di avere quasi dimenticato. La barba corta. I
capelli argentati. Lo sguardo di ragazzo antico. E cominciò a tremare anche la
sua voce mentre parlava…
«Mi
stavi dimenticando piccina. Insieme ai colori e all'allegria e alla speranza…
Dicevi parole nella tua mente e dimenticavi quelle giuste. Quelle con le quali
potevi parlare solo a me. Insieme alla formula magica avevi dimenticato
l'anellino fatato… E stavi dimenticando le parole che dovevi dire a me. Proprio
a me. Solo a me…
Giocavi
un po' a fare la bambina pasticciona. Volevi essere sgridata. Aiutata.
Rincuorata.
Ricorda
che il colibrì e l'anellino fatato sono un dono mio che ti ho fatto.
Sono
il dono della felicità e dell'allegria. Che ti spettano di diritto. Ti ho
insegnato le parole e il linguaggio. Le parole magiche e le parole comuni e
quotidiane. Insieme io e te siamo la parola, il verbo, il messaggio…»
Poi
le si avvicinò, le prese prima una mano al poi l'altra. Le portò alle labbra. E
le baciò a lungo con il suo fiato caldo.
Il
tempo intanto si era distratto e aveva smesso di scorrere via. E si era
arrestato per un momento magico, prolungato, infinito…
E
ricominciò la vita, il colore, le canzoni, insomma ricominciò la resurrezione!
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