FERIE D'AGOSTO
Erano forse estati un po' simili. Forse, probabilmente meno afose e torride di queste di oggi, che sono diventate perciò invivibili.
Venivano definite "ferie d'agosto". E non ricordo se cominciassero dal primo di quel mese per comprendere il 15… Fatto sta che comunque duravano due settimane… Una interruzione temporanea, incredibile, irreale e perciò per noi ragazzi fantastica.
Come quasi tutte le vacanze, natali e pasque comprese, avevano inizio nel primo pomeriggio del sabato. Le due ricorrenze religiose nominate ora duravano solo per ciò due giorni a mezzo.
Ma le ferie d'agosto…!!!
Una miseria, in verità, al confronto dei 365 giorni costanti, reiterati, definitivi e assoluti in cui si svolgeva il nostro vivere quotidiano. Ripensandoci credo che un paragone lo si possa fare con la vita carceraria. Per quanto anch'essa a volte, tranne negli ergastoli, sia più limitata nel tempo, più breve…
E con la possibilità di condoni e sconti di pena.
Per noi non si trattava di scontare nessuna pena. Se non quella di aver perso uno o tutti e due i genitori. Si cambiava totalmente pelle, anima, sguardo… All'ingresso, da piccini, si veniva rapati a zero… Eh già, per il rischio della pediculosi. Si smettevano gli abiti indossati fino a un momento prima. E se ne riceveva degli altri, diversi, ignoti. Avevano un odore nuovo… Come quando piì avanti si faceva il servizio militare e si ricevevano pacchi di indumenti odorosi di magazzino militare. E tutto quanto lo lasciavamo al di fuori.
Lo so, gioia, te l'ho forse già raccontato. E restavi con i tuoi occhioni incantevoli spalancati, sofferenti e perplessi. Osavi soltanto ogni tanto avanzare qualche domanda, ingenua, piena di buon senso. Ma il buon senso non era di casa in quella istituzione totale. Permetti, se vuoi, che continui ad annoiarti con queste vecchie storie.
Oggi la sofferenza, la sventura, il male e il dolore hanno cambiato connotati.
Ora c'è chi parte da terre lontane. Devastate e spogliate di tutto dai domini occidentali. Spogliata della propria storia, cultura locale, tradizioni e linguaggio. Quasi sempre nei secoli passati veniva imposta anche la nuova religione dominante nei nostri territori.
Non oso paragonare le navi negriere, con i corpi seminudi incatenati, stipati alla maniera di acciughe o di sardine in scatola. Per percorsi lunghissimi nutriti a stento. All'arrivo nelle terre dei compratori di schiavi, chi era ancora sopravvissuto scendeva con i propri piedi incatenati. Poi venivano cacciati fuori i cadaveri.
Noi ragazzi posso dire che stavamo quasi meglio, al confronto. Ma ritorno al tema iniziale delle estati di allora.
Nei 15 giorni delle ferie d'agosto, ricordo gli odori, le luci, i suoni delle albe e delle mattinate.
Senza l'obbligo della sveglia alle sei, ci si alzava quando veniva voglia. Le finestre spalancate. Le zanzare. E la luce.
Imparavamo i suoni degli ambulanti che giravano anche le stradine del centro. Chi riparava gli ombrelli, chi molava le lame dei coltelli, chi rifaceva di nuovo i materassi… Con le loro "gride":
OMBRELLAAAAIOOOOO... con quelle vocali prolungate che sembravano non terminare mai…
MULÌTA-MULìTA-MULÌTAAAAAA… Gridava l'arrotino spingendo a mano la sua bicicletta dotata di tutte le attrezzature del caso.
Entrava dalle finestre insieme al tepore del mattino che andava facendosi sempre più intenso, un'aria di libertà spensierata e distesa.
A sporgersi dalle finestre della vecchia casa del centro storico, nel quartiere spagnolo, nella via Azario, si vedevano passare in bicicletta i fattorini… Che portavano il pane. I pesci. E altri generi… Sull'acciottolato di sassi rotondi le ruote delle biciclette traballavano. E talvolta, più tardi, si trovava qualche acciuga spiaccicata sulle lunghe pietre carrarecce.
Ho ritrovato molto più tardi un'atmosfera simile leggendo Cardarelli. "Estiva".
«Stagione dai densi climi.
Dagli immensi mattini.
Dalle albe senza rumore.
Ci si risveglia come in un acquario.
Dei giorni identici, astrali.…»
È forse per questo che da allora ho sempre amato l'etrusco poeta. Ora mi verrebbe da ricordarlo per "Autunno". Anche se non mi sono ancora rassegnato a questa stagione che precede l'inverno freddo e definitivo della dipartita.
Hai ragione, gioia. Non è un vero racconto neppure questo. E poi come noti, non ti ci ho messo dentro come protagonista.
E al massimo è protagonista il mio sguardo d'allora. Uno sguardo che è un ricordo.
Poi, dalla città calda, qualche giorno andavamo dove ci avrebbero ospitato al fresco parenti o congiunti l'Ossola o qualche giorno al mare.
Ma mi rimane, indelebile, definitivo, come in una melodia o in un quadro di Segantini o di Fattori, questa immagine morbida, diffusa e distesa. Come una cartolina d 'epoca...
Di quelle che erano per me, in un tempo remoto, le FERIE D'AGOSTO.
Erano forse estati un po' simili. Forse, probabilmente meno afose e torride di queste di oggi, che sono diventate perciò invivibili.
Venivano definite "ferie d'agosto". E non ricordo se cominciassero dal primo di quel mese per comprendere il 15… Fatto sta che comunque duravano due settimane… Una interruzione temporanea, incredibile, irreale e perciò per noi ragazzi fantastica.
Come quasi tutte le vacanze, natali e pasque comprese, avevano inizio nel primo pomeriggio del sabato. Le due ricorrenze religiose nominate ora duravano solo per ciò due giorni a mezzo.
Ma le ferie d'agosto…!!!
Una miseria, in verità, al confronto dei 365 giorni costanti, reiterati, definitivi e assoluti in cui si svolgeva il nostro vivere quotidiano. Ripensandoci credo che un paragone lo si possa fare con la vita carceraria. Per quanto anch'essa a volte, tranne negli ergastoli, sia più limitata nel tempo, più breve…
E con la possibilità di condoni e sconti di pena.
Per noi non si trattava di scontare nessuna pena. Se non quella di aver perso uno o tutti e due i genitori. Si cambiava totalmente pelle, anima, sguardo… All'ingresso, da piccini, si veniva rapati a zero… Eh già, per il rischio della pediculosi. Si smettevano gli abiti indossati fino a un momento prima. E se ne riceveva degli altri, diversi, ignoti. Avevano un odore nuovo… Come quando piì avanti si faceva il servizio militare e si ricevevano pacchi di indumenti odorosi di magazzino militare. E tutto quanto lo lasciavamo al di fuori.
Lo so, gioia, te l'ho forse già raccontato. E restavi con i tuoi occhioni incantevoli spalancati, sofferenti e perplessi. Osavi soltanto ogni tanto avanzare qualche domanda, ingenua, piena di buon senso. Ma il buon senso non era di casa in quella istituzione totale. Permetti, se vuoi, che continui ad annoiarti con queste vecchie storie.
Oggi la sofferenza, la sventura, il male e il dolore hanno cambiato connotati.
Ora c'è chi parte da terre lontane. Devastate e spogliate di tutto dai domini occidentali. Spogliata della propria storia, cultura locale, tradizioni e linguaggio. Quasi sempre nei secoli passati veniva imposta anche la nuova religione dominante nei nostri territori.
Non oso paragonare le navi negriere, con i corpi seminudi incatenati, stipati alla maniera di acciughe o di sardine in scatola. Per percorsi lunghissimi nutriti a stento. All'arrivo nelle terre dei compratori di schiavi, chi era ancora sopravvissuto scendeva con i propri piedi incatenati. Poi venivano cacciati fuori i cadaveri.
Noi ragazzi posso dire che stavamo quasi meglio, al confronto. Ma ritorno al tema iniziale delle estati di allora.
Nei 15 giorni delle ferie d'agosto, ricordo gli odori, le luci, i suoni delle albe e delle mattinate.
Senza l'obbligo della sveglia alle sei, ci si alzava quando veniva voglia. Le finestre spalancate. Le zanzare. E la luce.
Imparavamo i suoni degli ambulanti che giravano anche le stradine del centro. Chi riparava gli ombrelli, chi molava le lame dei coltelli, chi rifaceva di nuovo i materassi… Con le loro "gride":
OMBRELLAAAAIOOOOO... con quelle vocali prolungate che sembravano non terminare mai…
MULÌTA-MULìTA-MULÌTAAAAAA… Gridava l'arrotino spingendo a mano la sua bicicletta dotata di tutte le attrezzature del caso.
Entrava dalle finestre insieme al tepore del mattino che andava facendosi sempre più intenso, un'aria di libertà spensierata e distesa.
A sporgersi dalle finestre della vecchia casa del centro storico, nel quartiere spagnolo, nella via Azario, si vedevano passare in bicicletta i fattorini… Che portavano il pane. I pesci. E altri generi… Sull'acciottolato di sassi rotondi le ruote delle biciclette traballavano. E talvolta, più tardi, si trovava qualche acciuga spiaccicata sulle lunghe pietre carrarecce.
Ho ritrovato molto più tardi un'atmosfera simile leggendo Cardarelli. "Estiva".
«Stagione dai densi climi.
Dagli immensi mattini.
Dalle albe senza rumore.
Ci si risveglia come in un acquario.
Dei giorni identici, astrali.…»
È forse per questo che da allora ho sempre amato l'etrusco poeta. Ora mi verrebbe da ricordarlo per "Autunno". Anche se non mi sono ancora rassegnato a questa stagione che precede l'inverno freddo e definitivo della dipartita.
Hai ragione, gioia. Non è un vero racconto neppure questo. E poi come noti, non ti ci ho messo dentro come protagonista.
E al massimo è protagonista il mio sguardo d'allora. Uno sguardo che è un ricordo.
Poi, dalla città calda, qualche giorno andavamo dove ci avrebbero ospitato al fresco parenti o congiunti l'Ossola o qualche giorno al mare.
Ma mi rimane, indelebile, definitivo, come in una melodia o in un quadro di Segantini o di Fattori, questa immagine morbida, diffusa e distesa. Come una cartolina d 'epoca...
Di quelle che erano per me, in un tempo remoto, le FERIE D'AGOSTO.
Nessun commento:
Posta un commento