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domenica 3 maggio 2020

UNA SPECIE DI… "DOPO"

UNA SPECIE DI… "DOPO"
(o qualcosa del genere…)
Puntuale.
Categorico.
Solo apparentemente calmo e blando.
Il messaggio mentale diffuso era appena arrivato.
Si predispose al suo turno per la capsula depurativa.
Ogni spostamento era accompagnato da abituali ricorrenti fasi di decontaminazione.
Nel brevissimo fulmineo e comunque monotono interminabile procedimento di decontaminazione, arrivarono i flash della memoria.
Non aveva misurato il tempo della durata della coda. Come sempre praticamente. Non ci faceva neanche più caso.
Code interminabili e insieme istantanee e brevissime.
Galleggiante nei suoi vapori di onde, la capsula l'aveva avvolto e ingoiato.
Eterni e brevissimi istanti.
Attese abituali…
La maschera facciale aderente ormai sembrava non dare neanche più fastidio.
E pure la visione come attraverso un acquario.
Riaprì il ricordo di quanto aveva letto nei propri diari e ricordi di molti anni prima in un paese che vantava il socialismo reale. Verso la fine del secolo 20º. Praga anni 70.
L'organizzazione burocratica del sistema totale, prevedeva lunghi, per allora estenuanti, incolonnamenti interminabili dovunque.
I megastore che cercavano di somigliare agli empori di consumo del mondo occidentale. Cemento.
Alluminio.
Vetrate.
Ogni volta mancava qualcosa. Aveva voluto preparare per gli ospiti cechi una leccornia della sua città e della sua terra.
Per fare la paniscia novarese aveva dovuto osare verza e fagioli bianchi in salamoia in barattoli di vetro. Wurstel di salsiccia bovina in mancanza dei salami della duja. Il riso era poi di qualità pessima. Si era trasformato nella cottura in una specie di couscous disfatto e insieme duro nel nucleo.
Nessuno aveva potuto notare che il piatto preparato era solo un vago esperimento culinario fallito.
Poi il sedicente socialismo reale si era dissolto per forza d'inerzia.
In piazza Venceslao il cordone dei robocoop armati impediva di accostarsi al punto in cui il giovane Jan Palach si era voluto immolare.
Nel ristorante raffinatissimo riservato ai possessori di dollari e di marchi tedeschi, nessuna coda invece…
Prima di aprire i battenti di noce antico sul salone illuminato a candelabri. Per disporsi poi intorno all'immenso tavolo circolare. Accuditi da maitre/camerieri in tait fuori tempo e fuori contesto. Guanti bianchi e improbabile accento anglosassone.
Nel brevissimo fulmineo e comunque monotono interminabile procedimento di decontaminazione, arrivavano altri flash della memoria.
Chissà perché proprio in quel momento quelli della fase preparatoria delle pratiche erotico sessuali.
Che lui continuava a preferire definire come un tempo era stato: "fare l'amore".
Nell'alloggio abitacolo per i giochi amorosi si diffondeva un ancestrale odore di legno di sandalo fumigante. Candele di sego e di cera vibranti tremolavano.
In bagno a turno a sfilare dal volto quella maschera, adesiva come un guanto di lattice.
Una rapida sciacquata di acqua. Abluzioni accurate; poi tutto sembrava un salto all'indietro con la macchina del tempo.
Ricomparivano e rivivevano anche le parole.
I sospiri. Gli sguardi e i mugolii di piacere. Il viaggio cominciava e pareva non dovesse terminare mai.
Tutto era cambiato ma alcune cose non sarebbero cambiate mai.
Mandò un pensiero morbido, sensuale e libidinoso all'oggetto dei suoi affetti. Che venne ricambiato solo molto più tardi. Colei era stata impegnata nella palestra di rigenerazione dell'apparato nervoso, sensoriale, fisico.
Gliene venne un flash mentale.
Era notevolmente ringiovanita.
Come in quelle vecchie foto che lui aveva accumulato e raccolto un tempo nel suo tablet. Quando erano questi gli strumenti di memorizzazione e di comunicazione prevalenti.
E quando lei ne temeva il controllo da parte del suo coabitante d'alloggio, con gli strumenti sofisticati per allora, ma assolutamente inadeguati. Che solo lui finalmente da tempo aveva neutralizzato. Nei recessi mnemonici ne restava ancora una traccia mnestica. Sfumata ma non così tanto da non disturbarla e condizionarla un pochino.
E risuonarono galleggiando nella mente le maldicenze, le dicerie diffuse e infondate.
Allora come nel tempo passato, quando venivano definite bufale o facke news..
Nell'esperanto allora dominante della neolingua anglosassone generalizzata e incomprensibile ai più.
Un tempo, come ora, circolavano discorsi di manipolazione delle menti e delle coscienze. Di microchip cervicale impiantati per controllo spostamenti: il grande fratello igienico sanitario…
Sotterranee preoccupazioni gonfiate ad arte dal dissenso, addirittura di controllo mentale e della volontà.
Tempi lunghi.
Ma tanto il tempo si è disteso, disse tra sé, prendendo posto nella piattaforma vibrante.
Onde diffuse, leggero stordimento, come ai tempi avveniva con le pedane vibranti.
Quelle che, se non calibrate sui megahertz giusti, anziché rimuovere gli speroni ossei, producevano danni scheletrici e distrofie alla colonna vertebrale. Magari addirittura anche ernie al disco.
Ripassò mentalmente testi memorizzati. E navigò nei chips installati nella calotta cranica sui notiziari. Eliminando pubblicità. Al massimo regalandosi visioni paradisiache, e esperienze virtuali erotico/oniriche.
Nel modulo di trasporto rapido, estrasse il generatore di ologrammi a portarsi avanti con i suoi impegni quotidiani.
Intanto raccontavano che in quel tempo nuovo le pandemie potevano considerarsi improbabili e impossibili.
Nulla più avrebbe sconvolto la vita quotidiana. Dicevano…
La routine si era già radicalmente trasformata.
E si viveva tutti nella nuova dimensione.
Ognuno accanto agli altri nella presente e attuale allucinazione collettiva.
Vicini.
In solitudine e insieme collegamento sociale.
Distanziamento fisico.
Simbiosi sociale.
La grande macchina regolava tutto.
L'immenso formicaio andava avanti con la mente ottenebrata e oscurata.
Reminiscenze.
Ricordi.
Nostalgie.
Saudade.
Ma solo per chi voleva vivere il presente senza dimenticare il passato.
Talvolta anche i ricordi orribili di quel tempo. Le descrizioni che ne avevano fatto i sopravvissuti. Parlando dei propri congiunti. Nella città bergamasca epicentro, quasi cinese, del contagio nostrano.
Diffuse da parole e occhi sconvolti e allucinati. Di chi aveva potuto rivedere il babbo prima delle esequie. La bocca spalancata. La lingua fuori. Gli occhi aperti diffusi di sangue .
Le colonne dei camion militari che portavano le bare in altri cimiteri estranei.
Anche verso la sua terra delle risaie.
Cortei grigio verdi di automezzi.
Come al tempo remoto del servizio militare a Foligno.
Oppure quelli incrociati nel Nord della Turchia. Quando il sultano del momento si apprestava a muovere guerra alla Grecia per Cipro.
Spesso fuori servizio come i cingolati e carri armati.
In sosta nelle strade senza triangolo. Sostituito da immensi girasoli tremolanti, fermati a terra da macigni di pietra.
E gli elenchi interminabili… Tanti contagiati, tanti ammalati, tanti deceduti, tanti portatori sani possibili untori.
Parole accorate e galleggiavano come mosconi sul liquame di quella devastazione.
I più da tempo si erano rassegnati a rimuovere sotto immense coltri di oblio, pesanti come tavole di serizzo tombale, i ricordi di quel tempo. Per non esserne spaventati ed terrorizzati costantemente. Ma che riaffiorarono comunque. Ancestrali.
Come tutto il materiale onirico.
Mescolato e confuso nelle allucinazioni notturne. Che inventavano nuove dilaganti epidemie quasi galattiche. Da risvegliarsi zuppi di sudore bruciante.
Poi, al risveglio, ricominciava la routine. Le code rassegnate e lente. Gli sguardi diffidenti verso gli altri umani. Senza sorrisi. Che se soltanto cercavi di guardare con gentilezza qualcuno, ti spingevano ancora più lontano da te. Le mascherine azzurre bianche, con o senza filtro, sostituite ora da quelle aderenti. In riproduzioni quasi credibili degli aspetti facciali. Quasi fossero clonazioni di volti. Parodie di persone. Imitazioni farlocche. Accettate comunque come vere.
Tutto navigava nei recessi mnemonici. Che l'austriaco Freud avrebbe definito subconscio. Rimosso.
Il piumone/coltre tombale oscurava questo rimosso. Quasi fosse stato dimenticato per davvero.
E riaffioravano ricordi.
La fase preparatoria delle pratiche erotico sessuali.
Maldicenze e dicerie diffuse e infondate.
Manipolazione delle menti e delle coscienze.
Microchip cervicale per controllo spostamenti…
Il grande fratello igienico sanitario…
Sotterranee preoccupazioni gonfiate ad arte dal dissenso, addirittura di controllo mentale e della volontà.
Ma tanto il tempo si era disteso, disse mentalmente ancora tra sé, prendendo posto nella piattaforma vibrante.
Onde diffuse, leggero stordimento, come ai tempi con le pedane vibranti. Che allora, se non calibrate sui megahertz giusti, anziché rimuovere gli speroni ossei, producevano danni scheletrici e distrofie alla colonna vertebrale.
Intanto continuavano a raccontare rassicuranti che in quel tempo le pandemie potevano considerarsi improbabili e impossibili.
Nulla più avrebbe sconvolto la vita quotidiana.
Anche perché la routine ormai si era già radicalmente trasformata.
Si viveva tutti nella nuova dimensione.
Ognuno accanto agli altri nella nuova allucinazione collettiva.
Vicini.
In solitudine e insieme collegamento sociale.
Distanziamento fisico.
Simbiosi sociale.
La grande macchina regolava tutto.
L'immenso formicaio andava avanti con la mente ottenebrata (e oscurata?).
Reminiscenze.
Ricordi.
Nostalgie.
Saudade.
Ma queste, solo per chi voleva vivere il presente senza dimenticare il passato.
Difficile dire che cosa fosse davvero cambiato da quel tempo dell'epidemia.
Forse tutto o forse quasi niente.
Difficile soprattutto perché abbastanza impraticabile il confronto. Tra il presente attuale, e quell'altro lontano, rimosso, o addirittura cancellato, lungo momento angosciante e pervasivo.
Era ormai uscito dalla pedana di depurazione e decontaminazione.
Lui il confronto lo viveva sempre quotidianamente ogni istante.
Solo reminiscenze gradevoli di quel che era stato.
Profumo di lontananza.
Odorose fotografie collocate nei cassetti della memoria. Dell'anima. Dei sensi…
Come la fragranza dei gelsomini, o dei grappoli intensamente
tremolanti al vento di glicine, o quella visiva di cascate di capelvenere con il loro verde fresco…
Si preparò per incolonnarsi di nuovo. Nuove code. Nuove navigazioni mentali all'indietro... o con la fantasia a un prossimo presente....
O meglio ancora, a un futuro inebriante.

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