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lunedì 20 settembre 2021

REMINISCENZE LONTANE

 REMINISCENZE LONTANE

facendo la spesa
«… Le dispiace, scusi, se appoggio qui in momento questi miei acquisti…?»
Sì, era proprio questo il gioco che faceva un tempo…
Confezionava come regali raccontini belli pronti…
Quasi sempre la bambina ragazza, (e l’ascoltatrice donna se ne compiaceva), era uscita di casa di soppiatto. Andava a girellare di qua e di là. Si divertiva a inseguire le farfalle tra i fiori dei prati. Le lucciole tra i rami dei boschi. Di soppiatto dalla mamma e dai genitori, certo. Ma fantasticava che presto avrebbe incontrato quel suo lui.
Si sdraiava sui prati o sul tappeto di foglie del bosco.
Fino a quando… Sentiva vibrare il terreno. Dei passi di quel lui che arrivava.
Poi ne sentiva nell’aria il profumo-odore del fumo di pipa.
E infine lui appariva.
C’erano ogni volta varianti.
Giocavano insieme a moscacieca. Ad acchiapparello. A fare la lotta rotolandosi insieme.
Le varianti, proprio per il loro carattere, variavano di volta in volta.
Alcuni racconti, per pudore reciproco, erano storie segrete, lubriche e morbose.
Il mago/maestro si compiaceva con la propria fantasia. La donna, che era insieme anche la bambina protagonista, aveva gli occhi lucidi che le brillavano, mentre ascoltava.
Narrazioni scritte. Sotto forma di messaggi. Di telefonate. Talvolta, quando era possibile, lui improvvisava a braccio, a voce. Lei ascoltava sdraiata, discinta, abbandonata, distesa. Tra gli odori diffusi del fumo del legno di sandalo. Tra il tremolio dei lumini e delle candele, riverberato negli specchi collocati da tutti i lati a rimandarsi le immagini. E corpi.
«… Sì, va bene, passi pure prima lei che ha premura. Io per ora mi limito a collocare qui sul bancone i miei acquisti. Faccia pure. Non si preoccupi. Io non ho fretta…»
Era il tempo lontano dei mirtilli, dell’uva spina, delle fragole e dei lamponi. Era un tempo passato. Presente ormai solo nel ricordo.
Il mago maestro narratore li aveva lasciati svolazzare via. Come farfalle o foglie autunnali. E il loro tremolio aereo era svanito.
Ora quella magia vibrante, intensa e allora attuale aveva lasciato il posto ad un’altra magia. Amara. Distopica. Ferita moribonda e morta.
Coazione a ripetere. Mutante. Mutata. Reificata. Il racconto giocoso verbale aveva influenzato la realtà quotidiana.
Lui aveva smesso di raccontarla.
E la narrazione, per un fenomeno di partenogenesi, si era da sola trasformata. Viveva di vita propria. Nessuno la raccontava più a nessuna. Non era più un gioco. Ora.
Il fantasma, come un golem, camminava sulle proprie gambe da solo. E quest’altra lei cercava qualcun altro. In un altro posto. Che non era la camera odorosa di sandalo tra i riflessi degli specchi.
La favola aveva cambiato struttura. Assumendo sempre di più quella allucinatoria di un incubo. Non meno reale.
L’etereo paradiso narrato tra sbuffi di fumo di pipa, era diventato la sequenza di un noir a luci rosse. Rosa. Verdi. Col batticuore. Di essere scoperti. Cuccati. E col senso di colpa. E delusione.
«… Sì, grazie, ho terminato… Mi dispiace d’averla fatta attendere… Ora vado alla cassa. Ecco il mio bancomat… Buona sera gentile signora che mi da lo scontrino. E buon lavoro…»
Il supermercato galattico, che somigliava mostruosamente a tutti gli altri iperstore e palazzi di cristallo e di luci, dei paesi dei balocchi consumistici, faceva defluire le persone. Con i loro sacchetti della spesa. Come in tutti gli altri altrove, le formichine entravano, ammiravano, desideravano, acquistavano. Dopo aver fatto il confronto tra i prezzi. Scegliendo le offerte più convenienti. Suggerite dal Web.
Ma intanto, surgelati in cristalli mnemonici, i racconti di un tempo, civettuoli, birichini, talvolta perversi, restavano immobili, sospesi a mezz’aria. Inerti.
By passati dal racconto reale, dell’incubo quotidiano.

Sistemò nel gavone e nelle borse laterali della moto, i suoi acquisti frugali e golosi.
Montò in sella. Tolse il cavalletto laterale. Fece ondeggiare avanti e indietro il grosso cavallo vibrante. Finché scivolò dal cavalletto centrale sui propri pneumatici. E il motore lo fece partire.
La sera autunnale, bofonchiava muta, come tutte le sere autunnali in cui le parole si sono consumate e sono scomparse.
Nel silenzio.
Nanni Omodeo Zorini
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