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giovedì 23 dicembre 2021

A M O R I E D I S A M O R I

 A M O R I E D I S A M O R I

Nel film di Fellini “Amarcord” fa sorridere fra i tanti personaggi che compaiono quello che assume il nome della “Gradisca”. Era stata scelta per compiacere il federale in visita nel posto. Si era agghindata a puntino come poteva saperlo farlo una come lei. E, sul più bello, quando si era trovata davanti il personaggio per lei importante, con tanto di orbace, fez, piegamento e molleggio sulle ginocchia con aria sportiva: non sapendo e non trovando un’espressione migliore per offrire i propri favori, non aveva trovato di meglio se non il dire “… Ma, gradisca…! Eccellenza…”
Al di là della scena abbastanza grottesca che viene in mente ripensando al capolavoro felliniano, qualche sfumatura di somiglianza, di richiamo, di analoga offerta, molte volte anche noi l’abbiamo provata.
Era forse stato un carattere ricorrente, abituale, delle profferte che aveva ricevuto.
Forse per sua timidezza connaturata, quasi sempre, aveva ricevuto avances amorose, relazionali, erotico-sessuali, che aveva accettato, non osando dire di no…
Le rare volte, invero, in cui dominando il proprio riserbo, aveva voluto muovere lui il primo passo si era trovato di fronte a deludenti, quasi umilianti debacle.
Mancanza di fondamentale sintonia… Fantasia di ipotesi troppo belle e allettanti… Sopravvalutazione del contesto che si trovava davanti… Boh…
Era stato l’ingannevole, allettante, subdolo strumento che l’etere regalava. E che forse ancora regala. Nel gergo anglofono definito il “social” per eccellenza: che lui avrebbe chiamato ironicamente, con deformazione sonora”il signor fesbucche”.
Già allora gli arrivavano spesso nella messaggistica di quel contesto, sfacciate provocazioni, fin troppo esplicite… Se n’era fatto beffe citandole, oscurando gli improbabili riferimenti personali dei nomi fasulli e inventati.
Ebbene sì.
Era stato proprio un messaggio. Improbabile, eppure mostratosi poi praticabile.
Tipo: cercando in questa piattaforma mi sono imbattuta nel tuo nome. Sei tu? Proprio tu? Ti ricordi ancora di me…?
Una modalità prevalente, almeno in quel tempo. Finalità e scopo fondamentale di quello strumento telematico: fare reincontrare tra loro vecchie conoscenze che erano andate perdendosi…
Incerto. Dubbioso. Forse un po’ anche disorientato.
Prima o poi era cascato nel gioco della rete.
E secondo la sua modalità ricorrente aveva dato la stura a fiumi di parole.
Tentennando, avanti e indietro, tra la diffidenza cauta e saggia. E il compiacimento del raccontare a se stesso: mah… stiamo a vedere cosa succede… al massimo ci ritiriamo in buon ordine… e chi s’è visto s’è visto…
La lusinga del volerci credere. A regali imprevisti, forse anche immeritati, addirittura inopportuni, magari… Stiamo al gioco. Poi vedremo.
E l’elemento ricorrente lo poteva riconoscere scorrendo a carrellata analoghe precedenti esperienze che aveva incontrato a bizzeffe.
Che a ripensarci bene denotavano la sua volontaria ingenuità a volerci cascare.
Occasionali, fortuite, gratuite situazioni.
Che aveva voluto di buon grado accogliere e accettare.
Nuove collaboratrici… Dipendenti… Vicine di casa… Compagne occasionali di viaggi… Sconosciuti incontri riemersi dal passato…
Ma sì… Provare si poteva anche provare…! Ma sempre senza domandarsi del poi, del dopo, del dove andremo mai a finire…
In modo abbastanza sprovveduto, troppo ingenuo, volutamente facilone e ottimista.
Ma le parole, quando dalle paratie in cima alla diga della cascata, cominciano a scendere giù a fiotti, sono molto contagiose le une con le altre. Una goccia tira l’altra. Formano addirittura, talvolta, uno spruzzo immenso colorito di raggi di sole e arcobaleni. E a quel punto a nulla servirebbe tirarsi indietro. Guardare davvero da lontano con occhio attento, disincantato, oggettivo e realistico.
Siamo in ballo. E allora balliamo…!
E aveva ballato la danza.
Nel vivo attuale e contestuale, credendo nel sogno, mica poteva farne a meno. Tanto era accattivante e piacevole.
Ma qualche istante o qualche giorno dopo sorgeva il dubbio della ragione. Del buon senso.
“… Un giorno dopo l’altro… La vita se ne va… Domani sarà un giorno… Uguale a ieri…”
E le parole, si sa, servono fondamentalmente per comunicare. Per conoscere. Ma talvolta, addirittura, se giocate per benino, con la passione del saperle combinare tra loro a puntino, finiscono per diventare anche filastrocche amorose. Poesie. Calembour. Sinfonie e melodie. Poemi. Racconti…
Ma la diga ormai era aperta. Spalancata. Fiotti di spruzzi inondavano l’azzurro con i loro ghirigori. I loro effetti magici. E finché duravano sospesi nell’aria, pareva brutto addirittura chiedere di chiudere le paratie della diga.
Seduttive, accattivanti, le sequele di parole e di suoni vocali, diventavano in quel momento come una reazione a catena. Ed era piacevole e bello crogiolarvisi.
Ogni tanto, di frequente, le risposte sonore, gestuali dei feedback, denotavano incongruenze. Stecche di significati. Stonature evidenti. Contraddizioni e refusi che potevano solo per il momento essere sottaciuti o accantonati in un angolo.
E si erano sprecate, oltre che da parte sua, anche nelle risposte, affermazioni un po’ troppo eclatanti, eccessive, buttate lì con nonchalance e pressappochismo.
Eri proprio tu quell’uomo che cercavo…! Sei la persona e l’amore più importante di tutta la mia vita… Sempre… E per sempre…
E non bastava, più tardi, tirati i remi in barca, ribattere dentro di sé: ma va là… ma cosa dici mai… non esageriamo, per favore…
Se si gioca a moscacieca, a girotondo, ad alto-passo-novarese, a nascondarello, si sta alle regole del gioco, no?
Col beneficio del dubbio. Ma anche col maleficio inebriante e ingannevole del solito: facevamo finta che…
Qui pro quo. Qui lo dico e qui lo nego. Forse hai capito male non ero stata in quel posto ma in quell’altro. Non vengo domani ma dopodomani. Non posso muovermi e sono inchiodata in casa e sto male. Poi magari vado in giro per ore, ma perché mi fa bene.
E non erano neppure tazzine di fiele da ingoiare. Defaillance momentanee. Contrattempi prevedibili. E talvolta spesso anche previsti.
Ma a volte il gioco vale la candela. O almeno così appare. Si può sempre poi spegnerla. Anche se risulta poi sgradevole e amaro.
“Gradisca…?”
Gradisci, tu? Io si. Ho tanta voglia di rivederti. E allora facciamo così e così… Se non ci sono imprevisti… Se non pesco da qualche parte qualche imprevedibile contrattempo, e te lo regalo a parziale giustificazione.
Aveva girato in lungo e in largo tutta la provincia e anche l’alta provincia tra le valli dei monti. La moto rombava con voce rinnovata.
I sogni, talvolta, paiono addirittura realtà. Sembrano veri. E verrebbe anche voglia di prolungarli al di là del tempo onirico concesso. Pia, ingenua, infantile e tenera pulsione!
Prima, però, che diventino incubi fastidiosi. Malati e amari.
Perché a questo punto, puoi sempre farti forza, arrancare, e spingerti fuori da quel nirvana illusorio e irreale.
Per quanto modesto e banale il quotidiano presente, risulta allora molto meglio rispetto al perdersi tra le ombre amare e velenose.
Con un colpo di reni, pinnando con le mani e coi piedi, riguadagnare la superficie terraquea, emergendo dai liquami venefici di quell’altra dimensione moribonda.
E se avevamo giocato a far finta che fossero amori… Ridare loro il connotato autentico… Amori amorosi allettanti e inebrianti… Diventano disamori disincantati, bazzecole, temporanee ubriacature dell’anima.
La ptosi non chiude più gli occhi.
La diplopia viene corretta. E la messa a fuoco diventa precisa.
La onirica dispnea annullata di colpo con un sospiro a pieni polmoni.
No che non gradisco… Non più, ora…
E l’illusione ingannevole, edulcorata, allettante ma altrettanto fasulla, cede il posto al senso del reale.
Sgradevole? Amaro e squallido? Però fondamentalmente vero…!
Suona la campanella… Facevamo che l’intervallo era finito… Facevamo, come è saggio e lucido, che anche questo che è successo, che ci siamo lasciati succedere e accadere, vada a far parte, diafano e insulso, con gli accadimenti accaduti e capitati.
Di frequente mi arrivano messaggi rincuoranti. Che mi invitano a riprendere di nuovo, ancora, sempre la marcia e il cammino. Con parole, parole, parole…
Quasi, addirittura, all’infinito… O almeno, fino all’ultimo respiro…
Nanni Omodeo Zorini
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