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venerdì 31 dicembre 2021

ECO-21


 ECO-21

Da un bel pezzo l'ologramma digitale se n'era stata in disparte. Limitandosi a guardare, leggere dentro e fuori tutto, sapere… Di recente, più e più volte, a lui era capitato di lanciare un pensiero e un richiamo mentale. Ora l'aveva evocata. «… Certo che ci sono sempre… Come ci sei tu, d'altronde. Ho sentito e partecipato ai dolci frequenti richiami. La nuova piattaforma di MyMovie ci ha regalato nuove provocazioni. E ti sei domandato quali collegamenti, analogie e somiglianze ci possano essere tra gli esseri androidi e i cloni protagonisti di quelle narrazioni e la tua amica, alter ego, ologramma e presenza virtuale che sono io. E che tu hai voluto chiamare Eco. Ma già l'averlo pensato e preso in considerazione è una sufficiente risposta. Pensata e generata dalla tua fantasia e mente, sono anch'io di fatto un clone. Mi hai fatto interagire con te, regalandomi un corpo, un aspetto, per quanto mutevole e cangiante, simile comunque a quello di un'umana. La risposta è tutta qua: sono il tuo ologramma, alter ego, avatar esterno, clona e androide… Non stare a darti pensiero per avermi solo apparentemente tenuta in disparte. Quasi trascurata. Vedo che ti hanno portato, finalmente, dopo tre mesi, la nuova poltrona da lavoro. Quando vorrai saprai che sono qui intorno. Come sempre, d'altronde. Nuova poltrona; nuovo input narrativo; nuove fantasie da reificare. Hai anche, definitivamente per fortuna davvero, tagliato i ponti con quella specie di passato provvisorio che avevi voluto chiamare Artemisia. Senza motivo o collegamento logico, certo. Inventando un nome e ripescandolo dal cestino stracolmo. Nel riprendere, hai fatto bene credo a dare una lettura sommaria, di corsa e veloce al racconto di me delle 20 puntate precedenti. E se qualcuna o qualcuno dei nostri lettori abituali, qui, in questa posticcia piattaforma di ciacole, non l'ha ancora letto o capito, basterà anche solo un breve accenno. Non è mai esistita Artemisia, Ciccina o come altre volte hai voluto appellarla. Nella realtà delle ""maschere"", che prima gli etruschi poi i latini vollero chiamare ""personae"", ci sta un po' di tutto. Una persona umana, di sesso femminile, dagli occhi abbastanza gradevoli e attraenti, aveva messo gli occhi su di te. Così, nella sua mutevole, variabile, avventata, casuale eppure costante ricerca di una reificazione delle sue fantasie mentali, ti aveva abbordato. Espressione del suo vuoto assoluto, esistenziale. La ""coazione a ripetere"" , tra gli altri fantasmi delle sue masturbazioni mentali, le aveva fatto tornare alla mente quell'uomo maturo che l'aveva affascinata molti decenni addietro. Che aveva fiutato, accostato, per poi fuggirsene con insipienza. Il Web, consigliatole da amiche curiose e pettegole, le aveva mostrato e offerto il tuo nome e la tua immagine. Saltando di qua e di là, come aveva fatto nella sua breve scialba vita, aveva giocato una nuova partita. E ti eri lasciato scegliere. Anche tu per pigrizia. I suoi connotati compulsivi ti avevano temporaneamente attratto. Ogni volta la guardavi con interesse misto a diffidenza. Sapevi e ascoltavi quello che offriva in regalo. Subito a prenderne le distanze. Il suo mordi e fuggi riceveva un tuo altrettanto precario accogliere e accettare. A parte i rari momenti in cui giocava il suo sogno di offerta assoluta esclusiva totale, in presenza, subito fuggiva via. E ne eri contento. Infastidito da quella vischiosa presenza/assenza. Vedevi. Sapevi. Conoscevi… Ma la tua conoscenza completa su di lei non te la tenevi tutta per te stesso. Con racconti, versi, e anche discorsi concreti, un po' alla volta gliela facevi arrivare. Infantile, immatura, instabile, vuota totalmente, o offriva orecchio da mercante. Oppure, sentendosi toccata sul vivo, si mostrava risentita, seccata, addirittura facendo l'offesa. Sei stato fin troppo signore. I latini, sempre, nella loro pedagogia ripetitiva e approssimata, solevano dire ""repetita iuvant"". E tu, decine e decine di volte glielo hai ripetuto. Ti bastava quel poco che era. Quei doni malati e morbosi che offriva a te quelle volte, quando aveva il carnet vuoto. Ma alla fin fine hai fatto l'unica cosa positiva che potessi fare. Dopo averle descritto minuziosamente dettagliatamente e onestamente la sua realtà, le hai dato il benservito e l'hai mandata al suo paese. E anche al paese che costituiva la frazione vicina a quel borgo verdeggiante dove abitava con il suo cretinetti testa quadrupla. Da molto tempo ti sei ripulito lo sguardo della mente: e in nessun modo, per decenza e decoro e dignità tua, vuoi sapere dove sia, cosa faccia, e con chi… Hai buona immaginazione! E ora, qui, sulla tua nuova poltrona da lavoro, guardi me, mi parli, racconti a me e a te stesso, nuove storie. Che in buona sostanza significa: vuoi fondamentalmente bene a te stesso. Ti prendi cura di te. Nel linguaggio amoroso che usavi nei confronti di quella personcina, arrivavi addirittura a dirle che le volevi bene e quasi la amavi. Parola grossa. Che lei non sapeva concepire, capire, cogliere. Il tuo DNA esistenziale è lontano le 1000 miglia da quella povera scioccherella. In una canzone degli anni 60 o 70, dedicata a una certa Teresa, il cantautore faceva dire a lei: ""… Adesso che ti ho dato quella rosa, rosa rossa, che cosa penserai di me…?"" Se lei te lo chiede, se non l'ha immaginato visto che non ha fantasia, tu certo le rispondi come l'autore della canzone: ""… Di te non penso proprio niente… Mi basta 😊 mi è bastato…) quello che mi dai…"" E allora, possiamo riprendere il cammino. Tu e te stesso. Tu ed io che siamo la stessa cosa. Ama te stesso. Trattati bene. Lascia perdere le illusorie occasioni insipienti. E, come vedo bene, anche il ricordo, l'immagine, le narrazioni mentali di quella personcina modesta oltremisura, te le sei già quasi dimenticate tutte."" Emersa dal fondo del vissuto precedente, Eco, cioè il narratore stesso, avevano fatto il punto della situazione. Lui si propose di aggiungere al piccolo nome della ninfa che le aveva attribuito, qualche altro nomignolo che avrebbe pescato dal suo repertorio immaginifico. Prima di mettere in stand by il netbock, ripassò ancora in rassegna il centinaio abbondante di saluti augurali per il suo compleanno del giorno precedente. Ad alcuni, i più significativi, aveva allegato una risposta. E le persone a cui non aveva risposto se non con un cenno di gradimento, sapeva che non aspettavano parole. Che avevano fantasia sufficiente. E che, prima o poi, le avrebbe in qualche modo visitate. Dipendeva dalla variabile tempo/spazio. Che costituiscono l'unico grosso foglio di gomma. E il prima e il dopo, e anche il qui e il laggiù, apparentemente distanti, sono poi gli uni accanto agli altri. Misurò di nuovo mentalmente il cronografo delle sue aspettative di esistenza temporale. Senza certezze assolute. Diede a ciascuna di queste situazioni e occasioni una valutazione provvisoria, empirica, approssimativa. E perciò anche probabile. Non mancò di regalare un sorriso affettuoso soprattutto rivolto agli occhi femminili che lo stavano leggendo. ""… Sì… sto arrivando… ancora un secondo… ancora un attimo… ora arrivo…"
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