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sabato 14 novembre 2020

IL POLIAMBULATORIO. L’attesa

 IL POLIAMBULATORIO. L’attesa

C’era voluto un po’ di tempo. Era rimasto in piedi a lungo. A debita distanza da altre persone. Sentiva il proprio fiato sotto l’involucro che gli copriva naso e bocca. Gli appannava gli occhiali. Un leggero fastidio alla schiena come al solito. Quel giorno non aveva fatto gli esercizi di fisioterapia consigliatigli. Aveva preferito andare a piedi. Tranne il primo tratto che aveva percorso in moto. Come era solito fare.
Lui e gli altri occupavano un ampio spazio di quel vasto corridoio adibito è predisposto per gli ingressi.
Osservò spalle e nuca delle persone che gli stavano davanti. Con la coda dell’occhio percepiva la presenza dietro di sé. Mormorii attenuati. Chi arrivava si metteva in coda. Dopo essersi avvicinato troppo a chi gli stava davanti, muoveva qualche passo all’indietro. Misurando le distanze.
Era stato predisposto un tavolino. Una addetta massiccia. In età. Col volto coperto come tutti. Faceva compilare un modulo. Dopo avere misurato la temperatura corporea alla fronte a distanza. Impugnando lo strumento.
Si sentiva il borbottio e il parlare opportuno allo smistamento nei vari corridoi del labirinto sotterraneo.
“Corridoio rosso; prosegua a sinistra; al terzo corridoio giri a destra; stanza 23…”
Titubante, una richiesta di ulteriori chiarimenti: “lui può venire con me? Devo segnare anche il suo nome sulla scheda? Beh non è proprio mio marito, però…”
Poi si era ritrovato in un ampio spazio illuminato solo dai neon. O da piccole prese di luce poste in alto alle pareti. Che venivano illuminate dai cortili e dai marciapiedi soprastanti.
I posti a sedere erano stati selezionati preventivamente. Su alcuni sedili e schienali erano opposti dei fogli in brutte fotocopie grigiastre che invitavano a non sedersi lì.
Nel seminterrato c’era pochissimo campo. Aveva tolto il sonoro. Ma ogni tanto sentiva le vibrazioni nel tablet per qualche notifica. O messaggi.
Non aveva dovuto fare fatica a scegliere un posto dove sedersi. La sala d’attesa sembrava una scacchiera dove i posti consentiti per le pedine erano stati circoscritti e limitati al massimo. Si sedette lì, dove gli era capitato; appena entrato nella sala.
L’ambiente l’atmosfera erano come di attesa generalizzata: tutti stavano in sur place. Sospesi per aria. Sospesi nel tempo. Sospesi ad attendere…
La luce azzurra del neon rendeva abbastanza asettica la realtà. Deformando i colori dei volti. Solo pochissime persone stavano vicine tra loro. A due a due. E le si distingueva come coppie. E come tali si scambiavano dei borbottamenti sommessi. Occhiate di rimprovero o di implorazione. O di noia e di fastidio.
Sul lato opposto a quello in cui stava lui seduto, al di là di alcune file di poltroncine di plastica azzurra, altre persone. Intente ciascuna al proprio far nulla in attesa.
Fu colpito da uno sguardo. Di sfuggita. Subito rientrato nei ranghi.
Occhi azzurroverde l’avevano sfiorato. Per poi rifugiarsi nella borsetta. Sul proprio telefonino. Sui propri scontrini fiscali che stava ora analizzando. Senza particolare interesse.
Accese lo schermo del proprio tablet. Sul calendario. Dal quale aveva silenzi dato anche le notifiche dei promemoria.
Quanto tempo sarebbe passato ancora?
Si sentì di nuovo attratto, quasi magicamente da uno sguardo che l’aveva di nuovo sfiorato. Mentre lui occhieggiava lo schermo illuminato del proprio giochino telematico, quello sguardo l’aveva cercato. Subito rifuggito via.
Capì che era un gioco che poteva prolungarsi ancora un po’ di tempo. In quell’attesa sospesa.
“Non me ne voglia… Anzi mi scusi… Ma il suo profilo e il suo sguardo mi risvegliano qualcosa nel mio bagaglio mentale dei ricordi. Non voglio dire che l’ho già incontrata o che mi pare di conoscerla. Anzi, penso proprio di no, purtroppo…! Naturalmente mi permetterà di celiare di scherzare…”
Aveva buttato lì questi pensieri interiori, fantasticando un approccio di conoscenza.
E dato che il tempo non gli mancava, si diede anche le risposte…
“… Si immagini… Anch’io, quando l’ho vista, ho avuto come l’impressione di conoscerla… Probabilmente non ci siamo mai incontrati… Ma sa, forse succede anche a lei, che a volte vedi una persona, e di primo acchito, sull’istante, senza motivo particolare, la trovi familiare… Succede anche a lei vero?”
I giochi degli sguardi che si cercavano e si sfuggivano subito proseguì.
Difficile dire quanto tempo rimase in quell’ampio salone semivuoto, tra le poltroncine azzurre vacanti di pazienti. A farsi compagnia con il proprio tablet. Con le proprie fantasie. Con le fotocopie grigiastre che dicevano: “mantenete la distanza di sicurezza. Non sedetevi qui”.
Quando venne il suo turno e sentì pronunciare il suo numero d’ordine seguito dal cognome, riuscì solo con la coda dell’occhio a notare che la sua compagna di sguardi non era più seduta al suo posto.
“Sì. Credo proprio di non averlo mai visto quel tipo. Interessante. Mi ha dato subito l’idea e l’impressione di conoscerlo da sempre. Ha detto solo due parole quando prendeva posto a sedersi, ma anche la voce mi è piaciuta. Il tono caldo. Baritonale. Vibrante. Chissà a sentirle in altri contesti. O situazioni… Ma dai, lascia stare… Che hai già tutti i tuoi problemi. Stai tranquilla… Tanto non incontrerai mai più certamente…”
Poi era entrata anche lei a fare quel che doveva.
Sempre indossando la mascherina bianca a punta.
In mano teneva la cartellina con tutti i suoi referti e analisi sanitarie.
Ci era abituata ormai.
Solo al termine, quando stava per andar via, diede un’occhiata nel salone a quel posto dove era stato seduto il tipo degli sguardi intensi. Sentì mentalmente vibrare ancora la sua voce baritonale. Ma chissà dove era andato nel frattempo…
Lui aveva iniziato a svuotare la lavastoviglie. Quella nuova. Che gli avevano appena portato. Installata. Un vero gioiello. Soprattutto per il prezzo.
Stendere i panni; votare la lavastoviglie; riempirla e tanti altri lavoretti del genere gli stavano davvero in quel posto…
Quando squillò la suoneria cinese del tablet.
“… Parto fra mezz’ora. Quando sono quasi sotto casa tua ti do uno squillo e ti avverto. Non stare a scendere ad aspettarmi in strada… Come so che fai tu, anch’io durante il tragitto, guidando, ti parlerò mentalmente… A fra poco cucciolo…”
Rimase quasi sorpreso, interdetto, in sur place. Non aveva ancora cominciato a pensare di aspettarla. Se l’era risparmiato come quando mettiamo da parte il boccone più goloso e prelibato, e ce lo riserviamo per un momento speciale… Tachicardia. Tu tum tu tum tu tum… Fibrillazione atriale…
Corse con la mente in un rapido balzo all’indietro. Alle altre volte…
Appena entrata si sarebbe alzata in punta di piedi a baciarlo sulla bocca. Lui le avrebbe messo le mani sulle guance. Dolcemente afferrandole e ghermendole. Una forma garbata delicata di possesso.
Sarebbero stati seduti sul divano un pochettino.
Lei accendendosi una delle sue sigarettine che le piacevano tanto. “Scusa… Non trovo l’accendino… Mi presti tuoi fiammiferi svedesi…?”
Lui, benché ormai con la lingua e le labbra affumicate della pipa, riempendone il camino, e dando golose e avide boccate al fumo azzurro…
Ruscelli di parole.
Le sue flautate con la cadenza abituale che talvolta lui si divertiva deridere amorevolmente.
Nelle paure di silenzio la sua voce maschile rombava… Per l’ennesima ripetizione di episodi passati… Sempre gustosi per quanto abituali e già noti…
Poi lei avrebbe detto: “… Senti… cosa ne diresti… perché non ce ne andiamo di là…”
Le bacchette di sandalo diffondevano i loro fumi aromatici. Le candele nei candelabri di ottone ballonzolavano. I piccoli lumini diffondevano il loro chiarore intimo. Dalle lanterne appese alle catenine.
Nell’ampia sala d’aspetto era stato toccato, sfiorato, leccato, provocato da uno sguardo azzurroverde. Ma quanto tempo fa? Difficile dirlo… Ammesso che fosse davvero avvenuto… Oppure anche quello era un suo sogno, una sua fantasia, un suo desiderio?
Come quando da bambini, nelle camerate fredde, si rimboccava le coperte pesanti. E si metteva a raccontarsi le storie da solo.
Anche altri gliel’avevano confidato: in attesa che arrivasse il sonno, raccontarsi storie da soli… Come in un film mentale…
Non sapeva mai dire se per davvero molte delle sue fantasie fossero ricordi di realtà autentici del passato… Oppure ricordi di cose mai avvenute… SAUDADE… Erano abbastanza belli comunque…
Mancavano alcuni particolari. Poteva desumerli dalle fantasie/ricordi/saudade… Dalle parole di lei pronunciate davvero. Intuite o immaginate. Lette mentalmente per magia…
Ma chi era lei davvero? Chi era la donna ragazza dagli occhi azzurro verde? Esisteva o era mai esistita per davvero? Sarebbe potuta mai esistere in realtà?
Sapeva che non la conosceva per niente. Conosceva le parole che aveva sentito o immaginato. Ma un conto è conoscere ricordare o credere di ricordare delle parole, e un altro conto è conoscere davvero una persona. Una donna. Una ragazza…
Si consolò ricordando il gusto, l’ebbrezza, l’euforia orgastica provata… Il senso di deprivazione quando si avvicinava l’ora in cui lei sarebbe poi partita. Dopo avere guardato con sguardo mesto le ore dell’orologio digitale.
Forse ogni incontro è improbabile. Forse ogni incontro è anche possibile. Forse è possibile la conoscenza.
Il turbamento emotivo, la pulsione amorosa, la piacevolezza reciproca e scambievole: la miglior forma di conoscenza…
Ma era davvero poi andato quel giorno come era segnato sul calendario del suo tablet, per quella visita al poliambulatorio nel seminterrato? Aveva davvero incontrato con lo sguardo? E poi, dal suo divano di pelle rossa, aveva davvero sentito le parole di lei ripetegli, come tutte le altre volte: “… Senti, Ciccio, cosa ne dici se andiamo un pochino di là…?”
Si convinse sempre di più che la vita e sogno. Che il sogno è vita. Che la vita è fatta di attimi fuggenti. Che vanno afferrati, coccolati, ghermiti, assaggiati e gustati…
Provò ad immaginarsi il suo sacchettino del tempo, dei minuti… Il suo piccolo scrigno dei giorni… La polvere dorata che colava dall’alto al basso nella clessidra…
L’aveva… L’avrebbe davvero incontrata?
Il fumo fa male, si disse… Ma riempì di nuovo il camino della pipa, lo accese, e diede alcune boccate gustose…
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