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giovedì 19 novembre 2020

LA CAMERA OSCURA

 LA CAMERA OSCURA

Dall’inquadratura di quel volto femminile. Nell’altra corsia laterale dell’intercity.
Non avrebbe certo potuto estrarre il tablet e inquadrarla.
Si era limitato a farlo mentalmente.
Senza neanche usare le dita a formulare il rettangolino della visione.
Ma così, a mente.
Socchiudeva gli occhi. Immaginava quel piccolo riquadro.
Prima lo impostò in orizzontale.
Ma c’erano troppi elementi di disturbo laterali.
Poi si decise a raddrizzarlo.
Sì. Così andava meglio. E neppure poteva farsi notare dagli occhi di quel volto che lo stava osservando a lungo. Intenzionalmente.
Pensò a un bianco e nero sfumato all’ocra. Con le parti scure brunite. Scattò mentalmente alcune istantanee. Insoddisfatto per un po’ si trattenne.
Tutto, mentalmente, e anche cronologicamente era iniziato molti decenni prima.
Aveva ritrovato in casa nel vecchio solaio polveroso e aperto al vento, un cartone contenente un vecchio proiettore d’ingrandimento e stampa.
Si accendeva. Provò rimuovere il braccio superiore. Vide che il riquadro luminoso proiettato sul piano orizzontale aumentava o diminuiva.
Impresa inutile e impossibile reperire pellicole fotografiche per la vecchia voigtlander.Risalente probabilmente agli anni 30 del secolo 900. Una piccola lente obiettivo faceva la sua corsa su un carrello metallico, facendo dilatare e prolungare in fuori il soffietto. Le rotaie correvano sullo sportellino della camera che restava aperto. Al di sotto di esso un piccolo piolino metallico gli permetteva di stare in orizzontale su un piano per gli autoscatti. Pur disponendo anche di un cavalletto treppiede a cannocchiale.
No.
Per quella, pellicole non avrebbe mai trovate, gli aveva detto gentilmente il gestore del negozio fotografico.
Bell’apparecchio, certo, senza dubbio…
Avrebbe fatto bella mostra di sé in un museo del modernariato.
Infatti lui successivamente aveva tenuto quel gioiellino consunto nella sua vetrinetta delle varie case nelle quali si era trasferito.
Aveva trovato in commercio degli apparecchi fotografici molto più recenti, anni 50 60, della foto ottica tedesca. Della DDR.
Egregi strumenti, degni di competere con quelli più preziosi pregiati della Canon o della Fujika…
Ma in compenso molto più economici. Anche il timer dell’esposizione funzionava ancora. Provò misurare con il proprio orologio i secondi di apertura dell’obiettivo prima di sentire il clik/tak della chiusura.
Con una discreta approssimazione l’otturatore risultava efficiente ed efficace.
Per quelle le pellicole negative le trovava ancora: erano identiche a quelle di tutti gli altri apparecchi fotografici.
Preferì dei rullini giapponesi, più economici, a 400 Asa: davano dei risultati un pochino più sgranati come nei vecchi film d’epoca, ma che facevano al caso suo.
Rinunciò allo sviluppo dei negativi: troppo complicato e rischioso.
Con il negativo sviluppato in quelle striscioline cominciò ad usare il proiettore ingranditore e a stampare.
Le bacinelle per gli acidi le aveva sgraffignate in casa.
Erano, anch’esse, dei begli oggetti di vetro pesante massiccio.
Non si sarebbero più riempite di sottaceti e di pesciolini in carpione...
I risultati: abbastanza sperimentali.
Comunque ci aveva giocato.
Ci passava un po’ di tempo ogni tanto in quella stanzetta che dava sul cortile, ombreggiata è coperta dai rami frondosi del fico sia di quello verde sia di quello nero.
Il tetto era coperto da lamiera alla buona.
Quando c’era vento andava rimesso a posto.
L’inverno si era procurato una stufetta di quelle di ghisa a legna e carbone.
Il buco nella parete per i tubi c’era già.
E per maggiore comodità si era procurato anche una vecchia stufetta elettrica a incandescenza.
Cercando di non far saltare il contatore di ceramica su in casa, per un eccesso di carico.
Alla scuola privata, dove era riuscito a insegnare di tutto, per raggranellare qualche soldo ed essere autosufficiente o comunque a collaborare alle spese familiari, lo chiamavano professore. Con la sua faccia da ragazzino spilungone, la barbetta da Cesare Battisti ottocentesco, “buongiorno Professore”…
All’accoglienza un’impiegata, che era sorella del titolare della scuola.
Qualche volta si era procurata un’amica che le faceva compagnia.
Non avevano praticamente niente da fare se non rispondere al telefono, e dire: “buongiorno Professore…”.
Ecco, una delle amiche era proprio così.
Capelli lunghi biondi, sciolti o talvolta legati in una treccia. Il volto rotondo gradevole in un sorriso di apertura. E anche lei ripeteva in coro con l’amica: “buongiorno Professore…”.
Ma tant’è: lui giocava a fare il professore anche se era in ritardo molto con gli esami universitari.
Ora, il volto che stava inquadrando mentalmente sull’intercity, le ricordava molto quello del suo tempo di giovane professore precario, provvisorio, senza titolo…
Dopo i convenevoli rituali prima delle sue lezioni di latino e di letteratura, qualche volta oltre al saluto aveva accompagnato giù dai vari piani nelle vecchie scale la bella ragazza.
Si erano cominciati a dare del tu.
E lei era venuta a trovarlo, guarda caso, proprio nella sua improvvisata camera oscura.
La stufetta di ghisa diventava rovente.
I candelotti di ceramica scaldati dalle resistenze pure.
In barba agli spifferi numerosi della vecchia finestra e della porta, dopo un po’ il bianco intenso dei glutei e della schiena della aiutante segretaria di scuola, diventavano caldi. E lui ci si affannava intensamente.
Era la ragazza, per quanto leggermente più giovane di lui, che guidava il gioco.
Una regista stupenda: garbata, convincente, una vera maestra d’amore…
Ripercorse, col ricordo, quei fotogrammi mentali…
Mentre guardava distratto, ma solo apparentemente, le immagini fuggevoli fuori dal vetro del finestrino del treno.
E intanto, nell’altra corsia laterale dell’intercity, l’inquadratura di quel volto che gli aveva risvegliato il ricordo…
E quel ricordo risorto, rinato, spuntato fuori dal nulla della memoria, lo stava guardando con un vago cenno di sorriso sardonico, di sfuggita ogni tanto…
Simile.
Ma assolutamente diverso e nuovo.
Come ritornare un’altra volta in un luogo già visto e rivederlo con occhi mutati.
Sulla piattaforma se l’era trovata a fianco. Quasi gomito a gomito.
Le aveva ceduto il passo per farla scendere prima di lui.
Poi, come a volte succede, per combinazione, per caso o per magia, avevano percorso lo stesso tratto di strada sorridendone compiaciuti… Stupiti, ciascuno per conto proprio.
Ma quella è una storia nuova. Stava cominciando a sbocciare e a preannunciarsi.
Però, spesso e volentieri, negli incontri e negli approcci con la nuova conoscenza, si era trovato a riaccostarla all’immagine della ragazza con la treccia bionda, nella stanzina rovente della camera oscura.
E, seppure a fatica, le aveva fatto rivestire quel nudo caldo e appassionato.
Da indossare in nuovi contesti.
Più comodi.
Funzionali.
QfwfqNanni Omodeo Zorini
Nanni Omodeo Zorini
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