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lunedì 11 gennaio 2021

IL TABLET

 IL TABLET

Se ne stava rilassata sul divano. Aveva appoggiato sulla mensola la tazzina vuota del caffè. Ghermìva, come un peplo, il playd bianco di pile. E gli lanciava, ogni tanto, morbidi sguardi compiaciuti e grati.
“Ti trovi bene ora con questo tablet cinese? E di quell’altro? Ne hai più saputo niente…? Mi avevi raccontato che ne avevi per un po’ seguito le tracce con Google…”
Incassò il colpo.
Era stato diverso tempo prima.
Aveva organizzato con quegli altri, là nella metropoli, il flash mob nella piazza della madonnina. A sostegno dei migranti annegati.
Un girotondo all’incontrario, come le lancette dell’orologio che girano all’indietro. Quasi fosse possibile far ritornare il tempo sui propri passi.
Portava nel borsello, i fogli con i propri versi che avrebbe letto quella volta.
Ma stavano anche scritti nelle pagine del tablet, che teneva nella tasca laterale destra del giaccone.
Stava per iniziare il percorso. Molti altri erano già arrivati.
Estrasse i fogli.
Poi, come d’abitudine, allungò la mano alla tasca. Non sentì la sagoma rigida dell’8 pollici Samsung. Controllò nell’altra tasca. Anche quella era vuota…
Dopo i primi giri, fece un cenno agli altri che camminavano a passo lento in mezzo alla folla della piazza.
All’imbocco della galleria, chiese consiglio alla pattuglia in divisa.
Sentiva dentro l’amaro che gli stava montando.
Nella metro rivide la scena di pochi minuti prima. Quando era arrivato.
Sfiorava ogni tanto con la mano il suo tascone.
Si stava abbastanza pigiati. Accanto a sé ricevette gli sguardi giovani di due ragazze graziose. Se n’era compiaciuto.
Ma solo quando si era trovato nel pullulare di persone davanti alle guglie del Duomo, aveva constatato…
La speranza di essere guardato con interesse, come sempre, aveva prevalso.
Gli sguardi ammiccavano , certo, all’oggetto prezioso che lui stava portando e che ne sporgeva. Con noncuranza ingenua.
In treno, nel tornare, aveva incontrato quegli altri amici e compagni. E subito si era sfogato. Gli avevano prestato un telefonino.
Per qualche istante, il grande fratello seguiva la traccia del suo oggetto.
La mappa ne indicava i movimenti. Nel cuore della grande città. Poi il centro urbano divenne vuoto di quel pulsare.
Col tono dimesso, mortificato con se stesso, aveva raccontato a lei che lo stava a guardare con i suoi occhioni spalancati.
“Poverino, gioia bella… Te l’ho sempre detto che sei un po’ ingenuo e troppo ottimista.
Comunque se avevi bloccato tutto, non avrebbero potuto curiosare i tuoi contenuti preziosi. Avevi cancellato e resettato.…”
Gli aveva fatto una carezza sulla guancia e ora gli teneva la mano.
Una ferita abbastanza recente.
Per un po’ di tempo, allora, aveva continuato a cercare, con il nuovo dispositivo che si era subito procurato. Il grande fratello raccontava, spostamenti, localizzazioni…
Non avrebbe mai più ritrovato quell’oggetto. Prezioso oltre ogni dire. Ci portava dentro tutto ciò che era possibile scrivere. E anche le decine di migliaia di immagini fotografiche.
Non riusciva a vedere, impossibile, le mani che ghermivano ora il suo Samsung. E neanche i volti. Soltanto gli spostamenti. Le soste. Il girovagare che aveva fatto.
“… Ti ho fatto ricordare una cosa un po’ triste… Scusami gioia… Senz’altro non ti capiterà più. Ci starai più attento… Poverino…”
E gli aveva regalato un bacio consolatorio. A modo suo.
Non si era mai servito, se non occasionalmente, di quello stratagemma, sofisticatissimo, diabolico e di massima precisione.
L’aveva poi anche raccontato, dall’intercity, usando il cellulare dell’amico… E la sua amica e compagna di allora, non aveva commentato. Forse anche lei mortificata e delusa. Si rendeva conto, ora, che le proprie quotazioni di prestigio avevano perso tanti punti. Per essere l’uomo speciale come lei l’aveva definito.
Quelle tracce mobili, sulla schermata della mappa sullo schermo, indicavano spostamenti, e allargandola con due dita, poteva addirittura scorgere il punto preciso. La via e il numero civico.
Ulteriore conferma della propria dabbenaggine.
Non era poi così freddo nell’appartamento, ora.
Lei aveva ora indossato una sua vecchia camicia.
Spuntavano le sue lunghe gambe di sotto.
In quei giorni il sole entrava ridendo dai vetri delle finestre.
Poi, avevano preferito parlare d’altro.
E quando erano stati sazi di leccornie e cibi, si erano dedicati ad altri gustosi piaceri.
Aveva rimesso nel cassetto quell’episodio. E quelle mappe, fin troppo precise e pignole, che l’avevano ferito.
Lei ora non aveva fatto più ulteriori commenti. E neppure aveva dubitato della crudele esattezza che gli era stata descritta.
La ferita si era rimarginata. Una piccola cicatrice di poco conto.
Ogni cosa passata, è praticamente perduta. Tranne che nel ricordo.
E poteva continuare il proprio cammino. Verso nuove strade e sentieri.
Avevano insieme curiosato sul nuovo dispositivo cinese.
Poi lei, con un sorriso morbido, gli aveva fatto deporre sulla mensola il nuovo compagno cinese. E per mano l’aveva ricondotto di là. Dove il sole intiepidiva l’aria.
E il cammino dei giorni e della vita, era ricominciato.
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