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domenica 24 gennaio 2021

PERCHÉ…?

 PERCHÉ…?

Mi creda, gentil signora Sgarbazzoni Jolanda, trovo molto interessante e stuzzicante la sua domanda..
Lei mi chiede, a metà tra il meravigliato, il dispiaciuto, e lo stizzito: “ma perché scrive lei professor barone? Chi glielo fa fare?” In questi casi anche non essendo un professionista dei blablabla, mi è d’obbligo qualche premessa.
Conversare, parlare, scambiare pensieri… È essenziale!
Non tanto e non solo a causa della pandemia, ma ho un atteggiamento psicoattitudinale profondamente radicato: non sono un chiacchierone gratis, di quelli da bar, o da cene con pseudo amici e conoscenti in cui abbuffarsi di grigliate e di vino in scatola…
Però mi piace parlare!
E allora? Perché non si fa una bella telefonata preclaro barone? Sarò breve: nei convenevoli preliminari ti chiedono come stai come sta tuo cugino e altre cose del genere…
E poi le persone a cui mi interessa veramente comunicare anche telefonicamente sarebbero un po’ disturbate e imbarazzate… (“… Ma dài… Ma sei matto? Per fortuna che non c’era qui lui… Mi avrebbe chiesto subito chi era… E tu hai la voce molto grossa e forte e non avrei potuto raccontare la bugia che eri una mia amica di Mantova… Lascia che ti chiami io…”).
Qualche altra persona so che è impegnata e non voglio essere invadente, disturbante… interrompendo le attività on-line che stanno svolgendo…
E allora? Allora niente, gentil signora Sgarbazzoni Jolanda… Ho trovato questo posto qui… Non è neanche un posto… Questa specie di piattaforma con questo buffo assurdo nome… Dove tutti fanno finta di essere “amici”, quando invece si è al massimo solo contatti e conoscenti…
Ha ragione, lady Jolanda, da un sacco di tempo in questa piattaforma pullulano le pubblicità del cavolo… E poi… A lei forse non capita cara, ma a me arrivano continuamente proposte, accompagnate da foto di volti o di corpi semignudi che mi dicono perché non mi collego con loro in WhatsApp o altre piattaforme, per fare del sesso in webcam o in altri modi… (Forse non sanno bene cosa significhi: fare sesso, nei casi di autentica intimità amorosa: “fare l’amore” è un’attività assolutamente impraticabile on-line!)
E poi… Glielo confesso: molti contatti e conoscenze prevalentemente femminili, tra le quali la maggior parte da definirsi autenticamente “amiche”, mi confermano di gradire quello che io scrivo… E mi invitano a farlo ancora…
Allora ci vuole poco: PERCHÉ?
Perché è bello parlare, raccontare, ascoltare, scrivere, leggere…
E allora vado avanti…
Una infinità di anni fa, seguendo una consuetudine che avevano in famiglia, quando ero ancora microscopico, dedito alle poppate e agli urli perché mi cambiassero il pattone (antenato del pannolone, ricucito assemblando insieme vecchi ritagli di stoffa; da lavare periodicamente…) fui condotto assolutamente senza il mio consenso, nella chiesa barocca di Sant’Eufemia, nel vecchio quartiere spagnolo della città. Pare che usassero già i suffumigi di incenso, i canti religiosi in quel linguaggio strano che io avrei imparato successivamente, e con un rituale che definirei, a posteriori, noiosissimo, mi imposero come nome: «GIOVANNI, CARLO, VINCENZO, CESARE…», Accompagnati dal mio doppio cognome…
Una vera oscenità! Fossi stato cosciente avrei suggerito con le dita dell’indice del medio: “tagliare, abbreviare per favore…”.
Mio padre, l’ingegnere, con la sua barbetta e il suo sorriso grigio azzurro, mi avrebbe poi aiutato: mi avrebbe chiamato con un diminutivo: “NANNI”. (Grazie babbo anche se non ci sei più qui tra noi, un grazie di cuore…!)
Quando a sei anni entrai in quel piccolo lager squallido e freddo dell’istituto, speravo di conservare almeno il mio “Nanni”… E invece: mi appiopparono un numero… Non rida Sgarbazzoni cara, come nei lager, ma più corto… Dato che eravamo in tutto una cinquantina di piccoli disgraziati tapini, mi capitò in dote il numero “7”.
Probabilmente chi l’aveva utilizzato prima di me aveva avuto la fortuna di tornarsene a casa sua…
Alle scuole elementari qualche volta mi venne appioppato il nome di Giovanni, o addirittura di Giovannino perché ero piccino… Qualche altra volta soprattutto alle scuole medie mi chiamarono col cognome: Omodeo, talvolta alterato e modificato con la variante Omodei; oppure con il secondo membro del cognome: Zorini… (Mi succede ancora oggi quando compagnie di assicurazione o altri venditori di proposte che io poi mando a cagare, mi chiamano signor Zorini… E mi tocca spiegare loro che è come se il signor Rossi venisse chiamato semplicemente “Ssi”… Tagliando via tout court la prima parte del cognome…
Prolisso sì, ma fino a un certo punto!
Verso i nostri pseudo educatori, capò, carcerieri, assistenti dovevamo per forza usare il loro nome, preceduto dal termine: “signor…”
Talvolta veniva consentito usare il nome di battesimo oppure il cognome.
Se dovevamo andare a fare la cacca: “… Signor Bruno, posso andare al gabinetto…?”
Certo che non si diceva il termine “in bagno” perché i bagni non c’erano, c’erano al massimo delle squallide puzzolenti latrine… E chiamarle toilette sarebbe stata una vera ironia sarcastica…
Mi è ricapitato più avanti nel tempo di trovarmi in situazioni imbarazzanti più o meno simili.
L’ho forse già raccontato ad amiche care… Quand’ero diventato direttore didattico, delle gentilissime e garbatissime impiegate, nei primissimi giorni almeno, invece di chiamarmi Nanni, Giovanni, Omodeo Zorini, mi chiamavano ripetutamente e perdutamente “Dottore”.
Ogni volta mi giravo spaventato temendo che ci fosse qualcuno malato e che fosse arrivato un dottor medico per curarlo o per definirlo spacciato e quasi defunto.
Si certo l’equivoco dipende proprio da un difetto della lingua italiana. I britannici e gli anglofoni per definire un medico usano l’espressione “Doctor”; mentre a chi è semplicemente laureato usano le abbreviazioni: “Fh.D.” ( = filosofiae doctor, qualcosa di corrispondente a: laureato e basta).
Ma anche in altri casi mi sono trovato in grande imbarazzo.
Quando ad esempio qualche ex compagno di scuola, rincontrandomi, mi chiamava Giovanni e non Nanni… perché allora veniva usato il nome ufficiale anagrafico.
Altra cosa analoga ma ancora più tremenda: quando qualcuno, mi confondeva con mio fratello, e invece di chiamarmi Nanni o Giovanni, mi chiamava col nome di mio fratello…
Confondere o dimenticare il nome di qualcuno, fatto magari anche solo per sbadataggine o mancanza di memoria, è un affronto terribile…
Signor Bruno, signor Aldo, signor tal dei tali… Li chiamavamo così… E loro invece mi chiamavano: “ 7”… Un numero nudo e crudo… Altro che “la solitudine dei numeri primi” 7, è un numero primo, indivisibile, quasi malinconico nella sua misera solitudine di orfanello… Anche se poi, alle sue spalle soprattutto nel repertorio biblico ed evangelico, un sacco di citazioni egregie: “settanta volte sette…”
E via dicendo.
E quei signor Bruno, signor Aldo eccetera, li ricordavamo per le grinte feroci che avevano, per le loro voci cattive, per i loro sguardi biechi e scemi… Ma anche e soprattutto per la violenza con la quale sferravano ceffoni e sberle dovunque sui nostri corpiccioli… E calci nel culo (sì signora Sgarbazzoni non ho detto una pedatina nel fondoschiena, ho detto calci nel culo… Talvolta lasciavano ecchimosi e lividi…).
Mi spiace di averla addolorata o intristita… Ma così è la vita se vuole… E anche se non vuole… Può magari capire un pochino perché, coloro che sono ancora più sventurati della mia generazione di bambini istituzionalizzati, e ci mette anni per attraversare il Sahara subendo violenze e rischiando poi il Mar Mediterraneo, alla faccia delle meloni e salvini, destano il mio affetto, la mia solidarietà, il mio tenero conforto… Prima che diventino tristi salme allineate sulle spiagge, ricoperti di jeans sbrindellati, e magari con accanto un rudere di telefonino cellulare ( che lusso...!) per parlare con la patria lontana…
Insomma, spero di averglielo spiegato, ascoltatrice Sgarbazzoni: perché scrivo? Perché parlo? Perché pubblico interventi in questa piattaforma di puttanelle e di pubblicità?
Perché ci avevo provato con quelli che di lavoro e di professione promettono di stampare libri, di venderli e di diffonderli… Ma i pochi squallidi rappresentanti di categoria, a suo tempo, mi avevano detto che dovevo io pagar loro e poi io di mia iniziativa andare in giro a fare i banchetti e il porta a porta a vendere i miei libri…
Perciò ritorno a questa palestra, bacheca, autostrada virtuale, perché so che qui decine e centinaia di persone amiche mi leggono volentieri… E anzi, mi augurano continuamente di continuare, perché lo trovano gradevole, piacevole e mi sono grate…
P.S-“ultim in fundo” avrebbe detto il comico Nino Frassica: posseggo, tengo aggiornato, e riempio di miei scritti anche un blog…
No, devo essere preciso, non un sito, un semplice blog…
Cioè uno spazio virtuale, on-line… Ma so che molte persone amiche mi han detto che ę un po’ scomodo con il cellulare smartphone entrarci a leggere…
Sia ben chiaro, contatto/amica Jolanda: non ce l’ho con lei!
È solo un pretesto narrativo.
Colgo l’occasione, come è di rito in queste situazioni, per ringraziare, abbracciare e baciare tutte le belle persone, specie se donne, che mi dedicano ascolto, lettura, affetto… E soprattutto simpatia…
(Anche questo l’ho già scritto da qualche altra parte, ma, con un altro latinismo d’obbligo, repetita iuvant:
«SCRIVERE È ANCHE SOPRATTUTTO UN GRANDE ATTO D’AMORE»)
Nanni Omodeo Zorini
Rita Venzi

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