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lunedì 17 agosto 2020

LA STORIA DI CICCINA

 LA STORIA DI CICCINA

 Un'altra giornata come le altre. Purtroppo. Stava pensando tra sé. Rannicchiata come d'abitudine nell'unico angolo morbido. Quasi come le altre… Fra nuovo sorgere del sole avrebbe di nuovo avvicinato il suo lui. Quello vero. Autentico.

Da troppo tempo ormai, non riusciva neanche più a contarlo il tempo, a misurarlo, ad avere una visione chiara.

Da sempre l’avevano trattata al ribasso. Considerandola poco. Al massimo sopportandola. Con sufficienza… Non solo accanto a lei o tra chi aveva accettato di avere vicino. Solo nelle attività sociali e nel lavoro non avevano preconcetti e pregiudizi. Anzi era apprezzata. Benvoluta . Valorizzata. Si era creata la sua nicchia esistenziale. Fino a quando…

Un giorno era riuscita a guardarsi per davvero. Non con i propri infiniti occhi soltanto.

Attraverso gli sguardi infiniti che quel lui le aveva rivolto.

Riempiendola di attenzioni. Colmandola di doni. Considerazione insomma.

E lui si era spinto oltre ogni limite. E lei aveva voluto lasciarsi andare e trascinare…

Quasi in un sogno. Ma un sogno di quelli autentici concreti e reali.

Avevano percorso strade prima ritenute impraticabili. Con fremiti reciproci di tutto il sistema percettivo centrale. Inimmaginabili un tempo…

Poi… La catastrofe maledetta… Quella sostanza tossica che l'aveva invasa tutta quanta. Senza sapere assolutamente come liberarsene. La speranza a volte vacillava. Compiva ancora fantastiche fughe. Ma piena di incertezze.

Solo lei in tutto il formicaio era stata contaminata da quel maledetto anticrittogamico.

Addirittura anche le sorelle e le compagne la guardavano un po' con sufficienza. Come se lei parlando del morbo se ne volesse fare uno scudo per non essere una brava lavoratrice. E  lei continuava a fare il possibile. Anche di più a volte.

Un'altra giornata come le altre. Purtroppo. Stava pensando tra sé. Rannicchiata come d'abitudine nell'unico angolo morbido. Quasi come le altre… Fra nuovo sorgere del sole avrebbe di nuovo avvicinato il suo lui. Quello vero. Autentico.

Da troppo tempo ormai, non riusciva neanche più a contarlo il tempo, a misurarlo, ad avere una visione chiara.

Da sempre l’avevano trattata al ribasso. Considerandola poco. Al massimo sopportandola. Con sufficienza… Non solo accanto a lei o tra chi aveva accettato di avere vicino. Solo nelle attività sociali e nel lavoro non avevano preconcetti e pregiudizi. Anzi era apprezzata. Benvoluta . Valorizzata. Si era creata la sua nicchia esistenziale. Fino a quando…

Un giorno era riuscita a guardarsi per davvero. Non con i propri infiniti occhi soltanto.

Attraverso gli sguardi infiniti che quel lui le aveva rivolto.

Riempiendola di attenzioni. Colmandola di doni. Considerazione insomma.

E lui si era spinto oltre ogni limite. E lei aveva voluto lasciarsi andare e trascinare…

Quasi in un sogno. Ma un sogno di quelli autentici concreti e reali.

Avevano percorso strade prima ritenute impraticabili. Con fremiti reciproci di tutto il sistema percettivo centrale. Inimmaginabili un tempo…

Poi… La catastrofe maledetta… Quella sostanza tossica che l'aveva invasa tutta quanta. Senza sapere assolutamente come liberarsene. La speranza a volte vacillava. Compiva ancora fantastiche fughe. Ma piena di incertezze.

Solo lei in tutto il formicaio era stata contaminata da quel maledetto anticrittogamico.

Addirittura anche le sorelle e le compagne la guardavano un po' con sufficienza. Come se lei parlando del morbo se ne volesse fare uno scudo per non essere una brava lavoratrice. Che lei continuava a fare il possibile. Anche di più a volte.

I suoi arti, erano diventati doloranti per ogni spostamento anche da poco.

Sempre lì. In  quella nicchia riparata, lontano da occhi multipli. Da giudizi. Da controlli.

Ma che cosa aveva avuto e aveva di diverso da tutte le altre? Il suo colore era lucido luminoso come quello di tutte.

Le sue antenne vibravano a comunicare.

Anche se da un po' di tempo trasmettevano flebili lamenti sofferenti.

Poi, per fortuna almeno ogni tanto, quel maturo formico maschio, compariva.

Come ora. Arrampicato su uno stelo d'erba. Sembrava immobile. Ma non stava mai zitto un secondo. Le sue antenne trasmettevano continuamente messaggi all’infinito.

A volte riusciva addirittura a rifare il verso alle cicale. Ad altri imenotteri sonori. Avrebbe volendolo saputo anche volare. Con le ali dei suoi pensieri. Con la sua fantasia preziosa e a lei graditissima.

L'anticrittogamico… Maledetto veleno. Lei non poteva muoversi da tempo. Pensava che forse un giorno, nonostante non fosse ancora anziana, le compagne più adulte di lei, e la stessa regina del formicaio, avrebbero crudelmente deciso di allontanarla. Ma più lontana di così da tutto?

Si sa che le formiche non avendo un sistema neuronale di regola non dovrebbero esser capaci di sognare.

Eppure… Lei sognava continuamente. Sognava quel solido esemplare. Prima appollaiato su uno stelo d'erba. Che poi lentamente scendeva. La avvicinava. Le sfiorava le antenne con le proprie. Le trasmetteva le sue musiche. I suoi lunghi interminabili pensieri. Erano sogni fantastici!

Purtroppo alternati a sogni allucinanti. Incubi. Disperati e dolorosi quasi quanto il male che le impediva di muoversi e di andare di qua e di là.

Ora, ne era certa, era proprio lui. Arrampicato come faceva spesso. I suoi occhi la guardavano. E mandava bagliori al pari e meglio delle lucciole più luminose.

Nella sua nicchia morbida, cercò con le zampette di farsi più bella che poteva.

Lui certo già la vedeva bellissima. E forse lei certo già era la più bella di tutto il bosco. Di tutta la landa.

Eppure era come tutte le sue simili. Pensava lei. Cosa aveva poi di così eccezionale?

Lui era sceso facendo ondeggiare lo stelo a cui si era aggrappato.

Si avvicinò. Le parlò. Antenne sfioranti le antenne.

Lei capì.

Il veleno diserbante si sarebbe attenuato nei suoi affetti malefici.

Sarebbe tornata a muoversi, spostarsi, andare di qua e di là. E soprattutto ricevere, seguire, sfiorare intensamente il suo innamorato.

C'è chi dice che le formiche non hanno un'anima. E c'è addirittura chi ne è convinto.

Il formichiere le ritiene soltanto pezzetti di cibo da inghiottire.

Quegli stupidi degli umani le allontanano dai propri terrazzi e delle proprie cucine.

Però anche nel linguaggio degli stupidi umani, quelli che buttano i veleni per diserbare, quelli che distruggono la terra e il pianeta, c'è una parola, pensò Ciccina… E l'hanno ricavata proprio pensando a lei e i suoi simili.

"Formicolìo”. A significare quel fremito, quell'impulso, quel piacevole solletico prurito, che tutti i viventi trovano quando sono in preda al piacere.

La formica Ciccina, anche lei, sentiva vibrare tutto il suo essere, tutta la natura, tutto il bosco, tutta la landa.

E si accorse che forse, il veleno diserbante anticrittogamico, un po' alla volta si sarebbe diluito, fino a sfumare nei suoi affetti dolorosi.

Lui ora le stava vicino. E non erano più una giovane graziosa formichina accanto ad un grosso massiccio esemplare adulto.

Lei non era una semplice formica operaia. Lui non era un semplice maschio di formica. Gli altri esemplari di quel formicaio e degli altri, che avevano le ali per diffondersi e per la riproduzione.

Che poi avrebbero perso.

Ciccina e il suo fidanzato erano eccezioni assolute.

Unici. Speciali. Provavano attrazione reciprocamente. Vicendevolmente amavano darsi piacere.

Ora stavano strettamente a contatto. E dopo essersi carezzate le antenne avevano preso a lambire tutti gli angoli dei propri minuscoli lucenti corpi.

Insomma, l’anticrittogamico o quel cavolo che fosse, stava smorzando i suoi affetti dolorosi e venefici.

Le sorelle compagne sapevano e avevano capito tutto.

Anche formichi che avevano creduto di avere possesso di lei, dormivano ebbri nei loro cunicoli bui.

E un messaggio mutuo scambievole e reciproco, diceva ripetutamente:

"ECCOMI, ECCOTI, SONO QUI SOLO PER TE… E TU CI SEI SOLO PER ME…" (O qualcosa del genere… Difficile invero tradurre quel linguaggio. Ma i linguaggi amorosi non hanno bisogno di traduzione )



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