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domenica 16 agosto 2020

MESSAGGIO

 







MESSAGGIO

alle cinque e un quarto del mattino
un flebile pianto accorato
uno sporgersi di mano fuori dai flutti e dal gorgo
una mesta rassegnazione determinata
una domanda senza possibile risposta
uno sguardo triste e rassegnato

dalle onde megahertz dello spazio tempo

ma anche
alle diciotto e quarantasei
alle nove e zero due
all'alba e anche al tramonto
prolungato disteso accorato
col suo sottofondo di lacrime represse
col tremito spaventato e il batticuore
con la calma risoluta impotente
con la paura e il terrore che paralizza l'anima

nella certa e pure improbabile scansione telepatica

quel tanto che basta a paralizzare il cuore
a far vacillare la speranza
a far vibrare mesti canti di bordone
a far gelare il sangue nelle vene
a traguardare lontano oltre le onde del lete
a scorgere indistinta la palude stige

un messaggio altisonante che risuona muto
un appello buttato al vento come litania
un pianto di bambina nella notte e nel giorno
un protendersi verso il di qua dove pulsa la vita
un accorato appello assoluto di disperazione
un doloroso guardare cercando sguardi

nelle ore insulse e vuote del prolungarsi del tempo
nel tutto nel nulla nel silenzio e nell'urlo
nella terra verde di boschi e colline
nella piatta argilla delle risaie a riquadri
nelle mie pagine scritte e riscritte
nel pallido velario dei cieli cancellati

muto
ascolto
sento
tremo
annichilisco
piango

l'inutile rozza mano pesante
protesa a sfiorare quelle dita sporte tra i flutti
per un salvataggio in extremis alla vita
per una carezza diffusa impotente
per tentare un tentativo a tentoni
per dire che no
per suggerire amare rassegnazioni
per offrire inutili doni di topazi

a balbettare insulse parole fragili
a scrivere versi e racconti e parole
a lanciare occhiate amorose di rimando
a non rassegnarsi alla rassegnazione
a provarci almeno a dare conforto
a prolungare l'attesa all’infinito
a guardare con lacrime da lontano

a riproporre
di nuovo
e sempre
barlumi di speranza
e d'amore
a rovesciare la clessidra
per dar tempo alla sabbia minuta
di scendere ancora
a fare il suo mucchietto
soffice e vivo e pulsante

eppure
alle cinque e un quarto del mattino
alle diciotto e quarantasei
alle nove e zero due
all'alba e anche al tramonto
nelle ore insulse e vuote del prolungarsi del tempo
nel tutto nel nulla nel silenzio e nell'urlo
nella terra verde di boschi e colline
nella piatta argilla delle risaie a riquadri
nelle mie pagine scritte e riscritte
nel pallido velario dei cieli cancellati
quel flebile pianto accorato

gela freddo il sangue nelle vene

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