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sabato 8 agosto 2020

PATCHWORK

 PATCHWORK

Aveva già predisposto e preparato un po' in disordine sul tavolo, la borraccia con l'acqua freschissima del frigo.
Una piccola borsa termica con i formaggi, il pane casereccio, dell'affettato.
Della frutta quasi matura.
Insieme al coltello taglientissimo da viaggio.
Dispose nelle tasche dei calzoni che indossava, da un lato il cellulare, dall'altro la batteria di riserva e il modem. I
l carica-batteria stava accanto agli altri oggetti da portare.
Due pacchetti di tabacco già fatto essiccare abbastanza.
Scatole di fiammiferi svedesi e una pipa.
Alla accensione innescò il motore.
Borbottìo smorzato.
Ad ogni accelerata per prova rombava forte.
E cominciò a muoversi.
I filari di alberi ai lati fuggivano all’indietro.
Come pure i casolari.
E le sagome dei condomini grigi sullo sfondo.
Scivolando via prendeva velocità.
E quel che restava normalmente fermo continuava a scappare indietro senza fine.

Facciamo il punto della situazione.
Controllata l'ora di partenza.
Calcolati i tempi e le velocità.
Ipotesi di raggiungere le varie tappe.
E non ci siamo neanche mossi troppo presto.
Ma neppure troppo tardi.
Il momento era quello giusto.
Le scorte sistemate.
L'aria circostante satura di velocità ma anche di attesa.
I filari dei pioppi si specchiavano nell'acqua dei canali.
Poi in quella del fiume che andava dilatandosi e allargandosi sempre di più.

•A ricordarsi di quando era partito diversi anni prima con la moto.
L'aria fredda pungente.
La donna che gli stava alle spalle si aggrappava alla sua vita.
Le sue parole gli arrivavano smorzate confuse.
Frammentate.
Altalenanti a singhiozzi.
Girava il capo per farsele ripetere.
Convenevoli vuoti.
Descrittivi.
Rituali.
Inframmezzati di parole d'amore e di lussuria.
Il tempo disteso che sembrava infinito come la strada d'asfalto autostradale. E avanti avanti avanti…
Qualche sosta. Una boccata di fumo alla pipa. Le impellenze urgenti. Per poi ripartire. E continuare a ripartire all'infinito…

Ora il rombo del mezzo si era normalizzato.
Fin quasi a diventare un ronzio indistinto.
Di sfondo.
Nel quale si mescolavano le acque del lago che costeggiava a lato.
Gabbiani ora.
Avevano preso il posto degli aironi bianchi e cinerini.
Nuvolaglie si muovevano lente di qua e di là.

•Oppure di quell'altra volta che era partito dopo aver caricato l'auto sul ferry-boat.
Nella pancia della balena.
E restava sentire gli spruzzi salmastri.
I gomiti e l'avambraccio poggiati sul bordo a ringhiera del pontile.
A vedere la prua che tagliava l'azzurro marino.
Oppure a poppa la scia che si allargava e si perdeva all'infinito alle spalle.
Bivaccare un po' nell'immenso salone.
Gremito di divani e poltrone di velluto rosso.
O sulle panchette laterali a guardar fuori le onde accavallarsi.

Ora pareva addirittura di galleggiare sospesi nel ronzio mescolati alle nuvolaglia basse.

•Altra cosa era stata una lunga traversata sui treni sferraglianti a ritmo continuo.
La donna lo avvinghiava.
Gli si faceva sempre più da presso.
Lo toccava sotto gli abiti.
Cercava con le sue labbra nervose di raggiungere la sua bocca.
Gli occhi accesi e vibranti.
Folli.
Allucinati.
Di desiderio e di piacere covato dentro.
Come un vulcano avrebbe voluto eruttare lava erotica incandescente.
Che veniva repressa per un dopo che era lì ad attendere.

Il lago ora aveva lasciato il posto trasformandosi in un mare spruzzato di bianche onde. L'orizzonte si incurvava come in un sorriso sfumato.
Lontani nel blu intenso pescherecci e sagome dei piroscafi.
Che parevano immobili ma gradualmente si allontanavano dalla visuale.

•Le soste dietro i grill delle autostrade.
Il letto del camper disteso.
Un boccone veloce di corsa.
Poi distesi l'uno accanto alla altra.
Gli abiti scivolavano via.
Gli occhi sabbiosi accarezzati dalle palpebre.
Le tendine tirate.
Ripensando al borbottio del diesel e alle ore di chilometri da masticare.

Ora invece, in questo qui presente e viaggiante, non c'erano soste.

•E quella volta che allineati in fila indiana si erano mossi con le bici per andare a bagnarsi nel Ticino.
Sudore.
Gambe dure come legno.
Le soste a sorbire la granita all’amarena o al limone.
I costumi da bagno a braghetta da risciacquare al ritorno.
I raggi roventi che bruciavano la pelle e la arrossavano.

Ma ora qui si andava sempre avanti.
Solo avanti e basta.
Divorando e rimasticando microsecondi di anni luce polverizzati.

•E quel viaggio in auto lanciati in avanti, verso il festival della mente.
E le tensostrutture accoglienti ma gonfie di caldo.
E l'avvicendarsi continuo di una presenza dopo l'altra a raccontare cose e altre cose e altre cose ancora.
Il piccolo alloggio con terrazzo e ombrellone. I
l letto a una piazza e mezza collocato nell'angolo.
E la sveglia che lui aveva imposto ridendo appena dopo l'alba.
Con i giochi ripetuti al infinito.
E le risa e il piacere alle stelle.

Ora era il presente qui che si muoveva tutto quanto nella propria direzione.
E la meta era l'andare stesso.
La destinazione e il percorso coincidevano.
Come quotidianamente accade.
Tremolii.
Incepparsi impercettibile per imprevisti irrisori.
Per poi riprendere e andare di nuovo avanti sempre all’infinito.

•L'immenso spazio aeroportuale.
All'imbarco.
Poi l'accelerata di velocità e l'impennata per prendere quota.
Quel leggero mancamento al plesso solare.
E poi le nuvole viste da sopra dagli oblò piccoli e appannati.
Lì le destinazioni esistevano.
Diverse ogni volta l'una dall'altra.
Forse diverse e sostanzialmente identiche le compagne di viaggio.

•Il vagon lit minuscolo spazio intimo.
Urtando col capo a muoversi sul lettuccio per mettersi in ginocchio.
Per cambiare posizione.
Per provare nuovi giochi.

L'oceano mare si era messo da parte ora qui, e svettavano sagome grigio scure innevate. Sempre più alte irte ed erte.
Mutevoli di forme, sagome e colori.
Albe seguite da mezzodì infuocati.
Per poi lasciare il posto a tramonti purpurei dilaganti.
Fino al blu nero notturno tempestato di brillanti.
Ma sempre andando avanti.

•E con la piccola cilindrata raggiungere l'oceano indiano.
Cotti e fusi dal calore del forno solare.
Le guarnizioni di plastica rigida che pendevano molli nell'abitacolo dell'auto.
Ettolitri d'acqua ghiacciata.
E l'oceano grigio, opaco, torbido.
E sullo sfondo la sagoma triangolare a punta sporgente della pinna caudale degli squali famelici e curiosi.
In quelle occasioni tutte l'andare era diretto verso un luogo.
Oppure un altro.
C'erano le soste.
Gli inconvenienti di percorso.
Le pause e i riposi.
Soprattutto quello notturno.
Qui ora l'andare era condizione esistenziale.
Stato dell'anima.
Prerequisito e dimensione assoluta…

E gli tornavano in mente soprattutto qui, odori intensi diffusi nell'aria.
Macchie di colore e di cielo.
Sensazioni piacevoli alternate ad altre dolorose, lancinanti, strazianti.
Batticuore sfrenato. Tu-tum tu-tum tu-tum… Extrasistole e tachicardia.
Spasmodici infiniti orgasmi di piacere.
Lacrime di ceralacca.
Risate gutturali urlate per aria.

E allora, anche adesso, tutto si tramutava in un immenso patchwork .
Un pot-pourri di odori, gusti, sapori e sensazioni .
Un mosaico.
Una miscellanea intenzionalmente frammentaria come capita quotidianamente forse a tutti.
Che neppure ci si accorge di questa varietà indistinta.
In continuo divenire mutevole.
E magari l'attenzione del ricordo rimane soltanto su un particolare irrilevante.
Una sfumatura tra le tante.
Ma il particolare non è mai il tutto.
E il tutto è troppo tutto per coesistere tutto insieme.
Ma la realtà è proprio così.
C'è poco da fare…
E intanto il viaggio continua.
Il viaggio/meta tutto insieme ci trascina.
Avanti.
Avanti.
Avanti

Finora, comunque, l'acqua nella borraccia termica si era conservata freschissima.
Come quella delle fontane d'alta montagna.
Anche se priva di quel gusto di neve sciolta.
O come quella del viaggio nei deserti per raggiungere l'oceano indiano.
Aveva sbocconcellato affettato e formaggi col pane casereccio che aveva preparato.
Addentando poi qualche frutto succoso.

E continuava imperterrito in quel suo patchwork di minuti, nanosecondi, anni luce… Ricordi, nostalgie, saudade…
Malinconie e reminiscenze.
Tenendo a freno la tachicardia e il fiato.
Perché la strada, qualunque fosse, andava avanti.

Perché il percorso era la meta.

E lui stava infatti viaggiando.

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