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sabato 8 agosto 2020

LE VASCHE

 LE VASCHE

Era una mattina come le altre. E insieme completamente diversa dalle altre.
Il calendario digitale segnava la data dell'8 agosto 2020.
E probabilmente andava sul sicuro.
Si era regalato un risveglio abbastanza sereno. La mente libera dalle solite idee. Dagli abituali pensieri che l'avevano disturbato e invaso.
Guardava tranquillo oggetti, spazi, arredi abituali, connotandoli da una angolatura e di un atteggiamento nuovo e pulito.
Fa molto bene riuscire ad avere la mente sgombra.
Nella piccola palestra in mansarda si era intrattenuto con i ricorrenti esercizi salutari.
Il caffè, denso e saporoso, con la sua schiuma dorata e bruna.
L'occhio interiore: sgombro di elementi di disturbo.
Si apprestava ai rituali ricorrenti gesti e azioni.
Poi sarebbe sceso. Avrebbe avviato lo scooterone.
Infilato il casco con la celata alzata per ricevere almeno un pochino d'aria sul volto.
Gli occhiali da sole, legati intorno al collo, a pendere sul petto.
Per indossarli al momento opportuno.
Nel borsello le chiavi varie, il portafogli, l'inutile telefonino.
Col quale avrebbe scattato all’occasione delle istantanee da regalare alla becera e squallida piattaforma virtuale.
Quello spazio che lui provvedeva ad arredare di immagini e parole.
Di versi e riflessioni.
Flash verbali e di fotografie rubate alla realtà.
Spazio virtuale che altri, in modo meschino e sgradevole, riempivano di pensieri e di immagini banali e stupide. Di opinioni di cui si erano ingozzati prendendole inconsciamente a prestito per contagio.
Per fortuna anche dalle teste pensanti, opinioni, frasi e parole vere prendevano il posto, per scelta sua, negli spazi visivi dello schermo.
Alzata la serranda.
Indossato il casco.
Sistemati nei borsoni laterali gli zainetti da colmare con gli acquisti.
L'aria era già calda dalle ore dell'alba afosa.
Un minimo di ventate gli arrivava addosso.
Frenato dal parabrezza.
Parcheggiò accanto alle rastrelliere delle bici. Vicino ad altri motocicli.
Tolto il casco indossò il panama bianco prediletto.
Ne aveva appena acquistato un altro ancora. Nero, da indossare con l'abbigliamento scuro. Nell'unico banco che vendeva cappelli. Il venditore era abbastanza cordiale. Per quanto squallidamente dichiarasse e ammettesse di essere un nostalgico del fascismo nero del passato. Poi però, bastava scambiare due o tre idee e chiacchiere, e tirava fuori come molti reazionari, altre e diverse visioni del mondo. Era un altro di quelli che bevono tutto, ripetono per contagio a pappagallo. Ma dentro dentro, si permettono una visione del mondo quasi umana e civile. Come d'altronde, almeno per fortuna, alcuni fascioleghisti settari, che ripetono slogan che non hanno capito ma che servono loro come abito di identificazione e di schieramento. E a volte, se provi a parlarci, magari tappandoti il naso, ti accorgi che sulle idee comuni conservano dentro dentro un sano buon senso naturale. In contraddizione con la bandiera sostenuta.
Il Web, le emittenti radio e televisive, i cosiddetti social, per non parlare di certa carta stampata oscena, propagano il virus della discriminazione, del settarismo, della disumanità. Nei confronti di chiunque sia diverso: donne, gay e lesbiche, migranti… Aggiungendoci poi i radical chic. Categoria mentale per riempire la bocca degli idioti qualunquisti convinti.
Conosceva, purtroppo, diverse persone avvezze a ripetere ritornelli consunti e vuoti in proposito. Guardava addirittura con una certa tolleranza e quasi simpatia costoro. E se riusciva a scambiare parole e pensieri con loro, si accorgeva che dietro tali stendardi imbecilli, su molte cose per fortuna riuscivano ancora a conservare idee proprie.
Era il solito vizio del contagio. A restare immersi in un ambiente inquinato, costoro si lasciavano influenzare dai soliti: "tutti dicono che… ho sentito dire… amici mi hanno detto che…". E andavano poi ghiottamente a frugare nei letamai diffusi nell'etere, dai pettegolezzi infondati di corridoio o di bottega, e si lasciavano influenzare piacevolmente per pigrizia mentale.
Beh… Pensava qualcosa del genere mentre gironzolava sotto le navate di cemento del mercato grande coperto.
Era un sabato mattina. La gente aveva ricominciato a pullulare per acquisti. Rispetto ai supermercati galattici, preferivano forse stare in coda dietro ai banconi dove vedevano la merce esposta. Era uno stile diverso di girare e fare acquisti, rispetto a quello degli iperstore galattici. In questi ultimi spazi, veri templi di consumismo a vuoto, o ci si andava con un'idea precisa alla ricerca di un acquisto o di un prodotto. Oppure si era a attratti e trascinati in processioni e scarpinamenti. Trascinati compulsivamente da luci, vetrine, colori e richiami vistosi fatti apposta. Da acchiappa citrulli.
Ma a molte persone piace essere condizionati, attirati, affascinati da questi squallidi specchietti per le allodole.
Lui, lì, ci andava con le idee chiare di quello che cercava. E non preparava neanche più la lista. Al massimo se la segnava nel cellulare. Andava a colpo sicuro.
Apparentemente simili, le due dimensioni e situazioni dei luoghi per gli acquisti, avevano poi sostanzialmente una atmosfera diversa.
Andava sempre a salutare amici e conoscenti. Che gli dicevano che volevano solamente scambiare due parole con lui per salutarlo. E che non era indispensabile che lui facesse acquisti presso di loro. Con alcuni era in atto un reciproco scambio amicale con confidenze.
Considerazioni generali. Esistenziali. Di salute… Ci conosceva e ci aveva incontrato e conosciuto persone stupende.
Conoscenti di lunga data. Che avevano abitato accanto a lui.
Insegnanti, ex allieve, o mamme delle sue scuole…
Dalla giovane donna che sorridendo gli chiedeva sempre consigli…
A quell'altra ancora che lo seguiva nel Web. Lo cercava con gli sguardi e ricordava tutto quello che lui scriveva là.
O che lo apostrofavano citando suoi versi o sue prose…
Il capannone di cemento pullulava di sconosciuti. Tra i quali spuntava piacevolmente qualche volto noto e caro.
Ed era ogni volta un piacere e una sorpresa. Ci si scambiava addirittura qualche abbraccio affettuoso. Soprattutto da quando, con cautela, e pur indossando la mascherina, le persone sagge ed equilibrate avevano meno terrore e incubo del morbo virale.
Anche quello era un pensiero e una presenza dominante. Chi era più attento aveva in mente lo stillicidio di contagi e ahimé di morti e di vittime.
Gli stolti pappagalli continuavano a pensare e a ripetere ora che era colpa dei migranti il contagio. Che era una violenza, un arbitrio, una prepotenza obbligare a indossare quelle protezioni sul volto, e rispettare distanziamenti. Ma erano di nuovo paccottiglia di secondo di terza mano, smerciata con i luoghi comuni dalle emittenti di vario genere.
Si predisponeva di buon grado ad attendere il proprio turno. Dopo aver salutato con qualche battuta scambievoli il conoscente/amico gestore. Poi procedeva agli acquisti. Qualche domanda/risposta teneva vivo il dialogo. Ma autentico. Privo di luoghi comuni stantii e beceri.
Completati gli acquisti. Sistemati gli zainetti nelle borse laterali e nel bauletto posteriore, parcheggiato il motociclo in fondo all’allea al bordo del castello malridotto e del suo fossato, indossava di nuovo la mascherina, il bianco panama… E ripercorreva le piccole strade, piazzette, e portici come aveva fatto da molti decenni del passato.
Un tempo ci veniva direttamente a piedi. Dalla sua antica casa in centro nel quartiere latino. Un rituale. Che in certi momenti risultava piacevole. Quasi necessario.
Era spesso un girare a vuoto. Ripensando ai percorsi a nuoto nella piscina comunale, era invalso il termine di "fare le vasche". I percorsi avanti e indietro.
Dal largo Puccini, accanto al Coccia, giù giù verso la piazzetta delle erbe. Poi per il primo tratto del corso Cavour. Per poi ritornare.
Occorreva uno sguardo apparentemente distratto e svagato. Quasi a cercare di vedere qualcosa di nuovo qua e là. Ma in effetti e in buona sostanza, con la speranza segreta covata dentro, di incontrare volti conosciuti. E di intrattenersi per momenti brevi o lunghe con loro.
Un tempo il percorso delle sue vasche avveniva al contrario. Dall'angolo delle ore, in fondo a corso Cavallotti, per venire in su verso l'allea. Allora infatti abitava in pieno centro nell'antica abitazione settecentesca del quartiere spagnolo.
Ricordava di averci fatto incontri piacevoli e interessanti. Diversi anni prima ci aveva rincontrato una sua relazione di anni precedenti.
Era fuggito quel giorno dallo stillicidio della coabitazione forzata che si sarebbe poi conclusa con l'allontanamento della separazione della sua convivente.
Con sguardo diverso dal passato, cercava tra i volti.
Incontrò lo sguardo di carbone luccicante della donna di un tempo. Stava in un crocchio senza molta passione ho interesse. Raccolse subito lo sguardo di lui. Si lasciò avvicinare simulando una certa reticenza. Tra gli altri doveva esserci anche il marito di lei. Per riguardo, gentilezza e anche per gioco, lui le diede del lei chiamandola signora.
Convenevoli freddi sulle prime. Lui aveva dimenticato a casa il proprio cellulare e così pure gli disse anche lei. Non potettero scambiarsi i numeri telefonici. Gli occhi di lei erano diventati poi più suadenti. Cercava di dimenticare di quando lui l'aveva abbandonata anni prima. Promise che l'avrebbe cercato al telefono fisso dell'ufficio che lui dirigeva…
E tanti altri incontri simili.
All'inizio sorpresa, stupore, spesso piacevoli. Poi una stretta di mano. Talvolta un abbraccio o un bacio sulle guance. E iniziavano o si riavviavano percorsi erano stati interrotti .
Gli acquisti stavano ora tranquilli nei contenitori dello scooter.
Le recenti lombalgie erano quasi scomparse.
Riprese la abituale stazione eretta dei suoi anni verdi.
In tutta la sua altezza.
I negozi avevano cambiato faccia rispetto agli anni indietro.
Nuove gelaterie.
Nuovi magazzini vistosi e attraenti di abbigliamento giovanilistico.
Passò accanto alla oreficeria dove era stato nei giorni precedenti per acquistare oggetti e gingilli pregiati per un dono alla persona che gli stava a cuore.
La commessa, giovane minuta e graziosa, si era fatta sulla porta e lo salutò con un sorriso cordiale. Fascinoso. Professionale forse solo in parte. Si ricordava il suo nome. E glielo dimostrò aggiungendolo a un buongiorno o un ciao affettuoso.
Ma bisognava continuare a fare le vasche.
Incontri gradevoli erano lì forse ad attendere. Ma certo, si disse, e col suo passo dinoccolato, rizzò ben dritte le spalle e il collo.
Lo sguardo aperto.
L'occhio pulito e libero.
Gustava quella consuetudine.
Ma gustava sempre di più il senso di libertà del proprio camminare.
Del proprio guardare.
Del proprio esistere…
Poi, tornato a casa, vuotate le borse delle spese, si sarebbe soffermato a raccontarsi mentalmente di dentro gli incontri di quel giorno.
Compiaciuto.
Ma va detto, che quel giorno era sabato 8 agosto 2020.
Data che in sé e per sé potrebbe non significare o non voler dire nulla.
Ma i significati a volte non stanno nelle date, nelle parole, nelle frasi o nei luoghi.
I significati ce li mette ciascuno di noi.
Il senso pone e lo crea la nostra mente.
Così lo riconosciamo subito.
Lui pose il segnaposto del significato, con il suo segno, in quella data, in quei luoghi, in quei pensieri.
Così l'avrebbe ritrovato subito.

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