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sabato 26 gennaio 2019

LA ZEBRA CIRILLA E IL SUO SOGNO
A dir la verità sembrava un po' strana la cosa. Si era fermata sotto l'ombra di un sicomoro. Perché il sole era troppo forte. E poi le era successo un guaio di recente. Mentre saltava al di là di un cespuglio spinoso, gli aculei della pianta le avevano graffiato le caviglie posteriori. Appena sopra lo zoccolo.
Si ritrovava lì, tutta sola, a leccarsi le sue ferite. Per fortuna non vedeva da nessuna parte arrivare i feroci predatori. Né le leonesse. Né le digrignanti iene. E neppure i piccoli sciacalli dai denti taglienti. E per avventura anche, il grufolanti facoceri, dal loro aspetto di cinghiale dai denti a sciabola curvi verso l'alto, in quella stagione non si facevano vedere.
Per fortuna, ebbe a pensare tra sé, la zebra. E mentre faceva queste considerazioni, si compiaceva e insieme si stupiva di trovarsi zebra. Di trovarsi lì. E anche di ricordare il proprio nome: lei era la zebra Cirilla!
Boh, pensò tra sé e sé, come pensano e come borbottano nei loro soliloqui le zebre.
Però ormai il dolore diventava sempre più pungente e lancinante. Temeva di non resistere più. E le venne spontaneo mormorare, e poi ripetere in un nitrito morbido e doloroso: "GUARISCIMI"!
Non passò troppo tempo che sentì vibrare il terreno. Un galoppo lontano in una nuvola di polvere.
Solo quando il galoppo si arrestò, la polvere si diradò, e vide…!
Uno stupendo esemplare di zebra maschio. Forse un po' in età. Infatti anche le strisce nere avevano assunto un colorito grigio bianco. Un bell'esempio di stallone di zebra vetusto e in regale.
Rimase a guardarla con il suo occhio fermo e lucido. Ergendo il capo e il collo fieramente. Doveva essere un esemplare nobile. Un aristocratico per davvero.
Cirilla mosse le froge. Sollevò le labbra mostrando i denti bianchissimi. E lo guardò ammirata con stupore compiaciuto.
"Ti ho chiamato e subito sei comparso… Sei dunque tu sempre il mio maestro, la mia guida, il mio protettore? Hai sentito il mio richiamo addolorato. E sei comparso magicamente!
Vedi che ora me ne sto qui sotto questo sicomoro. Mi sono ferita dolorosamente le caviglie posteriori e i tendini. Meno male che tu sei arrivato. Speravo proprio in te! Per questo ti ho chiamato. Mormorando. E alla fine nitrendo con dolore…
Fai qualcosa! Guariscimi! Tu sei l'unico davvero che può farlo!…"
Lo stallone attempato, abbassò di nuovo il capo e le spalle come era sua abitudine per il peso degli anni.
La zebra ragazza socchiuse gli occhi compiaciuta. E quando li riaperse…! Ohibò! Meraviglia!
L'amato da sempre e per sempre amico, era momentaneamente scomparso… E al suo posto…!
Si trovò di fronte una figura umana. Fiera. Altera e insieme bonaria e benevola.
Un lungo sari bianco lo ricopriva da capo a piedi. Teneva il braccio destro disteso ad impugnare un grosso bastone. Aveva un aspetto regale.
Riconobbe subito in lui lo sciamano guru della vallata.
Le sorrise con dolcezza.
Poi le si avvicinò. Depose il bastone nella sabbia accanto a lui. Si accucciò inginocchiandosi e prese a carezzare i suoi garretti invasi dal dolore.
E mentre le manipolava le estremità, spostava continuamente gli occhi per fissarli nei suoi.
Mormorò alcune parole magiche.
Poi le ricordò il proprio nome.
Aggiungendo che il nome come le parole magiche le inventava ogni volta daccapo. E che ai pazienti che andava a curare, ogni volta dava una spiegazione e una traduzione diversa. Perché amava tanto vedere il sorriso di chi ascoltava.
La sua paziente in quel momento, cominciò a smettere di essere impaziente.
Si calmò e si tranquillizzò. Sentì un piacevole benessere che dai garretti saliva su su per le cosce, per il tronco, per il cuore per l'anima, fino al capo e alle guance.
Per il piacere, socchiuse di nuovo gli occhi.
Quando li riaperse, nel nero luminoso si rifletteva l'azzurro del cielo. Non si era mai vista una zebra dagli occhi azzurri. E lei era contenta di avere uno sguardo celeste…
Però a quel punto, lo sguardo celeste vide che il grande mago maestro amoroso e amatissimo, era di nuovo scomparso. Lasciando al suo posto lo stallone antico.
Con un bramito, nitrendo, lui la salutò… E in quattro salti fu di nuovo al galoppo. Attorniato dalla sua nube magica che lo avvolgeva.
Nel frattempo, il sicomoro prima striminzito con i suoi rami, si era riempito di fronde che scendevano giù fino a terra, come fossero rami di salice. Formando una gabbia protettiva tutto intorno a lei. Gli animali da preda non l'avrebbero più vista. E si accorse anche che il proprio odore selvatico era sostituito da un profumo di rose.
Sentì batterle nel petto il cuore contento…
Fu allora che si distrasse un momento…
E finì per risvegliarsi.
Si trovava ora nel suo letto. E non aveva più il corpo da zebra. Ma quello della ragazza che era sempre stata. E che tanto piaceva al suo maestro curatore magico e un po' folle narratore di storie.
Fece un mezzo movimento. E si accorse che le sciabolate alle caviglie e alle gambe si erano molto attenuate. Pur senza scomparire ancora davvero.
La sua fiducia nella magia amorosa, riprese il sopravvento.
La gabbia protettiva dei rami del sicomoro, era diventata la sua camera e la sua casa. Nella quale ora non si sentiva più davvero sola. Il profumo di rosa permaneva. E permaneva l'immagine di lui che le era apparsa nel sogno.
Rimasta ancora un po' golosa di sognare, provò a socchiudere ancora gli occhi.
Il santone era diventato ora completamente il suo principe cavaliere maestro. E le stava porgendo un dono. Uno scrigno nel quale lei pensava ci fossero dei gioielli.
Allungò le mani. Ha perso il coperchio. E… Oh meraviglia! C'erano dei cioccolatini di tanti gusti…
Provò ad afferrarne uno anche se avrebbe preferito restare a dieta…
E, nuova meraviglia… L'involucro argentato e dorato non conteneva davvero una pralina di cioccolato saporoso. Apparentemente non conteneva niente. Ma conteneva immagini, profumi, melodie, come di un vento di primavera che le portava sollievo, piacevolezza, consolazione…
E uno dopo l'altro scartò tutti i cioccolatini magici e fatati.
Ritrovò il profumo dei fiori in primavera.
Ritrovò l'odore di bosco e di foglie e funghi. Di muschio e di autunno.
Ritrovò il flauto dell'acqua del ruscello.
Ritrovò la brezza fresca piacevolissima quando c'è la calura.
Ritrovò e finalmente si impossessò completamente del ricordo amoroso.
Ritrovò l’odore caldo e sensuale dei corpi reciprocamente nudi.
Ristette ancora un po' in quel residuo onirico.
Sarebbero passati ancora giorni, settimane, forse anche mesi… Ma ora sapeva che stava cominciando ad uscire per sempre dal dolore. Dalla sofferenza. Dalle stilettate che l'avevano perseguitata.
E senza aprire gli occhi, mormorò a bocca chiusa dentro di sé: "Sì, mio maestro, mio principe, mio sovrano, mio mago, mio innamorato unico da sempre e per sempre, hai ascoltato la preghiera che ti ho rivolto nel sogno quand'ero zebra. Ti avevo chiesto di guarirmi. Lo stai facendo. Ti prometto un regalo…
Tu aspettami, il tempo passerà in fretta… E poi tornerò a cantare, a gioire, a camminare nei prati e nei boschi con te… A recitarti la mia canzone amorosa totale.
Adesso arrivo. Grazie di avermi aspettato. Grazie per la magia. Grazie di esserci, amore mio grande, mio unico amore di tutta la vita…
Presto, lo sai e anch'io lo so, ricomincerà il paradiso infinito…"
Poi, beata e contenta, senza accorgersi sprofondò di nuovo a galleggiare a volare nel sogno.
Tornò ad essere anche zebra Cirilla. Tornò ad essere la principessa regina alunna bambina e donna per il suo bizzarro narratore regale…
Quando, più tardi, si risvegliò del tutto, si accorse che qualcosa di sostanziale era cambiato. Stava cambiando.
Scese in cucina a prepararsi una tazza di tè verde. E poi ci infilò ad ammollarsi dei biscotti. E fece merenda. Fece colazione. Aspettando che il principe tornasse davvero di persona con i suoi saporiti bocconi…
Ma questa, come si dice sempre in casi simili, è un'altra storia…!
Nanni Omodeo Zorini
foto dal Web

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