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giovedì 3 gennaio 2019

SEMPRE AD INVENTARE IL PASSATO

SEMPRE AD INVENTARE IL PASSATO
(per Artemisia, naturalmente!)
C'è da dire che per essere stanco ero abbastanza stanco quel giorno.
Avevo riempito di infinite attività le ore dell'orologio a cominciare dall'alba.
E inoltre mi ero piacevolmente dedicato anche al mio ospite a quattro zampe.
Lunghe camminate nel piccolo parco con collina che aveva proprio dietro casa.
Ogni tanto si sentiva il sibilo del treno che passava dietro gli ultimi cespugli. Si vedevano i vagoni e se ne sentiva la vibrazione anche se attutita dalla distanza sulla strada ferrata.
In quel periodo l'ospite era abbastanza irritabile. In vari momenti della giornata col suo iperudito avvertiva in lontananza gli ultimi beceri e stupidi botti. Chi li aveva sparati disturbando la quiete la notte di Capodanno, doveva averne conservato ancora qualcuno. Oppure l'aveva dimenticato. Stupidamente di nuovo. Ne avevo intravisti alcuni nel negozio di cose cinesi, dove ero andato a comprare i miei incensi e le bacchette di sandalo profumato. Addirittura ero rimasto spaventato quando, alla cassa davanti a me, oltre alle solite bacchette incartate di carta colorata, un'immensa confezione. Delle dimensioni di una scatola di pelati grande, da kilogrammo. Cercava di celare la sua pericolosità deflagrante sotto l'involucro dall'aria innocua.
Una cosa del genere l'avevo forse già vista negli anni trascorsi.
Non sempre è possibile scegliere le conoscenze e le persone da frequentare. Mi era probabilmente accaduto di restare orripilato, sgomento, preoccupato nell'assistere per quanto da lontano alle giravolte luminose. Ai botti prolungati. Alternati a vicenda a piccoli serpenti di luce che sfrecciavano fischiando da tutte le parti. Roba da matti, avevo pensato allora tenendomi più discosto possibile. La radio il primo gennaio aveva offerto un resoconto delle persone rimaste ferite in quell'occasione di falsa, rumorosa, festosità.
Mi era venuto da dirmi che tali riti visivi a base di polvere pirica, potevano avere avuto forse qualche significato in tempi remotissimi. Ma restavano ora parodia rumorosa pericolosa e fondamentalmente idiota delle azioni di guerra. Delle specie di audiovisivi rozzi e barbarici del passato.
Insomma, non me ne rendevo conto ma probabilmente quei petardi saettanti scoppianti continuavano ancora a solcare il cielo qualche giorno dopo la conclusione del cambio d'anno.
Ripensandoci mi era tornato in mente di quando ero stato trascinato "ob torto collo" insieme alla mia bambina di pochi anni, sul versante opposto del lago. A molti chilometri in linea d'aria da dove, su piattaforme galleggianti vicino a Omegna, venivano sparate nell'aria per la festa di San Vito. Il collo torto non era stato solo il mio. La piccola si tappava le orecchie come riusciva con le manine. E alternativamente lo faceva anche sulle orecchie pendenti della cagnolina dalmata che lei adorava.
Dopo un'esperienza, non c'ero più voluto andare. Il posto era pur bello. Un ristorante pizzeria dalle parti di Pella. C'era da fare una strada ripidissima in discesa con l'auto per arrivare sul posto. E bisognava per lo più arrivarci presto per poter trovare da parcheggiare. Me ne era pentito. Scusandomi con la mia adorata bambina. Ma tant'è. Le luci pirotecniche potevano anche essere definite piacevoli da vedere. Non fosse stato per quei tremendi botti sparati nel cielo. Che facevano sobbalzare. Per quanto i disegni visivi arrivassero leggermente prima dello sparo. Per ovvi motivi di diversa velocità della luce e del suono.
A Praga, in un viaggio passato, il fasullo socialismo reale di quel tempo, aveva regalato dalla collina di Malastrana, con riverberi luminosi sulla Moldava. O era stato a Budapest? Sullo sfondo del palazzo del Parlamento ricostruito dopo i bombardamenti?
Boh! Anche allora un'impressione di ostentazione vistosa, appariscente, rumorosa, esteriore e inutile.
Disturbato dai botti lontani e dall'abbaiare di protesta, per quanto stanco, ero riuscito ad da appisolarmi davanti al computer, in poltrona.
Ora però non si trattava dell'abbaiare o dei botti.
La suoneria del mio tablet telefonico mi aveva riscosso, trascinandomi improvvisamente fuori dal racconto onirico… me ne rimasero solo alcuni frammenti… Che un po' alla volta iniziarono a dileguarsi...
La voce di lei, una musica vellutata e morbida. Le esse leggermente sibilate. La cadenza eterna della sua parlata di ragazza, bambina per sempre.
Erano sempre regali e sorprese meravigliose. Il colloquio lo conservai a lungo dentro la mente. Ma appena alla fine ci fummo salutati e accomiatarti con dolcezza, allungai le mani mentali per cercare di ricostruire la situazione del sogno. Operazione che avevo pur già tentato faticosamente nel colloquio.
«Beh, non ti saprei dire esattamente… O almeno non saprei descrivere i particolari. Potrei solo farlo rispetto all'atmosfera. Vorrei farti entrare dentro e capiresti subito.
Non eravamo soli. In un luogo abbastanza indefinito come capita sognando. Però era bellissimo. Sereno. Disteso. Estremamente piacevole.
Ero sicuramente con diverse persone. E i parlari di cui mi sfuggono ora i contenuti, erano pur’essi piacevoli… Mi dispiace di non poterci ritornare dentro per fartelo rivivere, almeno a parole, oppure, se mi dai la mano per fartelo provare…
Beh, senti, se ti contenti provo a inventarlo.»
Nell'economia della telefonata lei si era dimostrata entusiasta, con piccole risatine divertite… Invogliandolo.
«… Sì, dai, i sogni che racconti e che inventi tu sono ancora più belli di quelli che ci regala il riposo... Non mi interessa la situazione. Le vicende che tu hai provato evocandole. Ti prego, dai, me lo inventi di sana pianta, me lo scrivi… E poi me lo gusto golosamente… Sì, dai, Ciccio… Lo aspetto…»
Gli ingredienti erano pronti. L'atmosfera non l'avevo ancora perduta e non si era ancora del tutto dileguata.
"Ero in un posto che poteva essere chiuso oppure all'aperto, su un prato… Vicino a boschi con varie sfumature stagionali di colori. Non ero solo. Sicuramente c'erano altre persone. Non troppe però. E c'era in particolare una ragazzetta molto più giovane di me. Io cercavo di rubarle il suo sguardo… E solo alla fine lei me lo regalò completamente…
Si parlava, commentandolo, del discorso che aveva appena fatto nei media il re Harald V, di Norvegia. Dolce, pacato, sereno, assolutamente completamente positivo. Aveva fatto con i suoi video il giro del mondo. Lasciando tutti esterefatti, compiaciuti, sereni.
Non sto a ricordartelo perché certo l'avrei sentito anche tu… Diceva che anche lui e la sua famiglia erano immigrati in Norvegia circa un secolo prima. Che i giovani di Norvegia si amano: ragazze amano ragazzi; oppure ragazze amano altre ragazze e lo stesso per i maschi. Le culture, i linguaggi originari, gli occhi e gli sguardi, fortunatamente molto diversi e non in serie. Era soddisfatto e compiaciuto della ricchezza delle diversità del suo paese…
Commentando, probabilmente avevamo considerato, data la sua età avanzata, che avrebbe abdicato. Aveva probabilmente un erede. Ma allora, in quella storia di quel sogno, avevamo voluto immaginare che si stesse cercando un erede fuori di quel paese.
Io avevo affermato di non avere mai amato, apprezzato o stimato la monarchia. Come istituzione. Ma alla luce di quel messaggio estremamente positivo, mi ero dichiarato favorevole ad una forma di monarchia elettiva democratica…
Qualcuno aveva chiesto chi sarebbe potuto essere il suo successore.
E io sempre nel gioco narrativo onirico, avevo buttato lì: se l'anziano monarca avesse gradito, se mi avesse trovato adeguato, se avesse voluto designarmi… Sì, avrei offerto la mia candidatura.
Avrebbero però dovuto i cittadini eleggermi. E non conoscendomi, e io non parlando il loro idioma, avrei avuto modo di un lungo tirocinio di apprendistato, di attività in comune, per dar modo di apprezzare, se l'avessero volute, le mie qualità…
Tutti quanti (ma come sai nei sogni è molto difficile poter dire chi fossero quei quanti e soprattutto in che numero…) i presenti nel sogno si misero a ridere.
In particolare ci tenevo a vedere che effetto avessero fatto le mie parole sulla ragazza graziosissima. Doveva essere certo giovanissima. Molto più giovane di me. E anch'io almeno lì ero tornato molto giovane. Più di ora naturalmente. Lei aveva un'età indefinita tra i 13 e i 17 anni. Non ero ancora riuscito, come già ho detto, a cogliere direttamente il suo sguardo… E neppure riuscivo a farlo mentre descrivevo e illustravo la mia candidatura.. Troppo impegnato nella mia campagna elettorale…
Si dissero varie cose… Qualcuno delle entità oniriche presenti, mi aveva burlato, provando a farmi domande imbarazzanti. Ma in questo me la cavo bene. Tenni testa. Divertendomi. E illustrando le prospettive. Non te le so raccontare qui, di certo, mi conosci fin troppo bene…
Forse anche la giovanissima fanciulla i cui occhi e qui sguardi ancora riuscivano a sfuggirmi, con la sua vocetta di ragazza, aveva mosso obiezioni, fatto domande, riso scherzando e burlandomi…
Quando, però, ad un certo punto mi accorsi che la situazione era mutata. Non ero più in mezzo a tante persone. E stavo continuando la mia propaganda elettorale solo con lei. E per farlo ero finalmente riuscito ad aprire lo scrigno del suo sguardo.
Incredibile. Comodo dirlo perché si trattava di un sogno. Ma un sogno che assomigliava molto alla realtà. Il gioiello di quegli occhi era più luminoso dello zaffiro, dei lapislazzuli, più simile all'acqua marina e al turchese…
Ne ero incantato. Affascinato. Attratto .
E fu proprio in quel momento, quando cioè il suo sguardo fosforeggiante mi raggiunse, che lo misi in relazione con la sua vocetta di ragazza… Che sibilava a volte le esse. Oppure ci si volava sopra con cadenza bambina…
Ti confesso, Ciccio, che solo in quel momento mi ero accorto che stavo sognando te e me insieme…
«… Sì, dai… Facevamo che ero entrata nel tuo sogno… Facevamo che eravamo solo noi in quel posto lì magico… Facevamo che tu stavi preparandoti a diventare il re democratico di quel paese… Ma allora, ti posso fare una domanda…? Non è che dopo mi prendi in giro perché sono stata troppo presuntuosa? Dai, ti prego, ormai nel tuo sogno ci sono dentro… E se tu diventi il principe ereditario e il re di Norvegia, io posso essere come tua principessa e regina consorte…?
E magari poi, dopo esserci uniti in vincolo imperituro coniugale, avremmo avuto dei figli… Dai… Facevamo che avremmo avuto, diciamo, tre figli… Magari due femmine e un maschio… Ti va? Posso inventarlo e raccontarlo anch'io il tuo sogno e la tua storia…?»
E così, cominciando da un sogno pomeridiano, in poltrona, davanti al computer in stand-by, mentre il cane non veniva disturbato da lontani scopi, e perciò non abbaiava incazzato, sono arrivato alla telefonata con te… E dalla telefonata, al coinvolgimento nel sogno, alla macchina del tempo che ricostruiva in passato reinventandolo, siamo arrivati come vedi, al gioco che giochiamo sempre. Finché ci è dato il tempo per farlo.
Finché le clessidre non avranno versato tutta la loro sabbia finissima. E anche stesse per capitare, cercherò di distrarti, e furtivamente con la mano lo rovescerei per cominciare daccapo ancora… Fino alla fine del tempo… Ti basta? No, mi correggo anzi, fino a oltre la fine del tempo… E dello spazio…
Nanni Omodeo Zorini
foto Web

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